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Convegno “Le risorse lapidee dall’antichità ad oggi in area mediterranea, 25 – 27 settembre 2006 Canosa di Puglia (Bari)
come metagrovacca. Al microscopio risultata essere costituita da clasti spigolosi di diversa
natura litologica e mineralogica, con dimensioni tra 100 e 200 micrometri, con prevalenza di
quelli costituiti da quarzo e subordinata clorite, oltre che da albite, mica bianca ed epidoto
immersi in una matrice fillosilicatica.
Il pregio del materiale nell’antico Egitto è testimoniato dal numero di spedizioni di pionieri
inviati dai vari faraoni nell’area. L’attività estrattiva era intensa in inverno, mentre il trasporto
via Nilo avveniva durante i periodi di piena per raggiungere più velocemente i luoghi di
destinazione. I cavatori procedevano alla scelta dei blocchi sani, facendoli rotolare dai fianchi
delle colline: solo quelli che raggiunge vano il fondovalle intatti erano trasportati al fiume con
un viaggio di circa novanta chilometri su slitte di legno lungo una strada ricca di fortificazioni
militari ancora visibili attualmente, mentre il materiale difettato si rompeva già durante la
movimentazione in prossimità della cava. Le dimensioni medie dei blocchi estratti (1.2 X 1.0
X 1.6 m), indicate sul papiro di Torino, corrispondono a quelle riscontrate attualmente in cava
e sono strettamente dipendenti dallo stato di fratturazione. Sporadicame nte sono presenti
blocchi di dimensioni più grandi. In cava sono ancora riconoscibili alcuni reperti incompiuti e
numerosi geroglifici, incisi sulle superfici di spacco, talora ricoperti da una patina bruna: sono
state contate circa seicento iscrizioni che vanno dal Periodo Predinastico fino a quello Tardo
Romano. Il loro stato di conservazione appare buono, fatta eccezione per alcuni esempi
facilmente accessibili dalla strada, che appaiono deturpati da incisioni dei nostri giorni.
Il colore della roccia è molto scuro, nero, grigio assai cupo o anche grigio-verde sulla
superficie a spacco, diventando nero assoluto nei manufatti perfettamente lucidati. In alcune
realizzazioni artistiche della statuaria l’intensità della colorazione nera è forse anche
accresciuta da trattamenti superficiali.
VALORIZZAZIONE DI SITI ESTRATTIVI NELL’ISOLA DI FAVIGNANA
Fiora L., Alciati L.
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Torino
Autore corrispondente; e-mail: laura.fiore@unito.it
Nell’isola di Favignana (Egadi, Sicilia Occidentale) è coltivata fin dal passato una
biocalcarenite quaternaria, molto porosa, di facile estrazione e lavorabilità (Pietra di
Favignana, impropriamente detto anche “Tufo” o “Tufo Conchigliare”). La roccia appartiene
alla stessa formazione affiorante nella Sicilia occidentale, sia sul litorale di Marsala (TP), che
nella zona di Erice e Paceco (TP): essa è nota nel trapanese come Pietra di Trapani ed è un
materiale lapideo che caratterizza molti edifici storici di questa città. La Pietra di Favignana è
un materiale da costruzione, che ha trovato anche uso come roccia ornamentale in elementi
architettonici finemente lavorati e che, nell’isola, in una varietà più fine, rappresenta materiale
da scultura per pregevoli lavori di intaglio. Essa è un’importante pietra italiana e rientra tra
quelle storiche del bacino mediterraneo. Le rocce del costruito favignanese testimoniano il
passaggio di tanti dominatori (Saraceni, Normanni, Angioini, Aragonesi e Genovesi): la
calcarenite è stata diffusamente utilizzata nelle diverse epoche storiche, anche con
accorgimenti pratici per renderla più durevole nell’ambiente marino permeato di sali: sovente
infatti i conci furono sottoposti a un trattamento protettivo a base di olio di tonno, la cui pesca
è stata per lungo tempo la principale risorsa economica isolana.