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190 X. 9. La musica di tradizione orale
nei decenni seguenti hanno prodotto articoli, monografie, antologie discografiche e fil-
mati che offrono un quadro ormai sufficientemente ampio e approfondito delle forme,
degli stili, degli strumenti, delle occasioni e delle funzioni sociosimboliche connesse ai
comportamenti musicali di tradizione orale. Ulteriori indagini sono tuttavia in corso
d’opera, sia allo scopo di sistematizzare l’insieme dei materiali documentari disponibili
sia conducendo nuove ricerche finalizzate a verificare i margini di persistenza e muta-
mento delle pratiche musicali tuttora vitali. Di contro allo sfaldamento dei fenomeni
musicali legati agli antichi mestieri e ai diversi momenti di aggregazione comunitaria
(nascite, matrimoni, feste rurali), è infatti da rimarcare la permanenza di quelli correlati
alle occasioni rituali o rinfunzionalizzati entro pratiche spettacolari, grazie all’impegno
di molti giovani che, in continuità con i padri, i nonni e i bisnonni, tengono vivi svariati
repertori locali: dalle canzuni “alla carrettiera” ai lamenti della Settimana Santa, dalle
novene del Natale alle musiche strumentali e ai balli tradizionali.
9.2. Concetti e caratteri generali
In Sicilia – e più genericamente nell’Italia centro-meridionale – il termine musica
è usato per indicare il complesso bandistico. Musicanti sono di conseguenza chiamati
coloro che prestano opera in queste particolari orchestre “mobili”, avendo acquisito
la competenza di sunari a musica (cioè di suonare leggendo le note sul pentagramma).
I sunatura sono viceversa deposi tari di un sapere tramandato per via orale da una ge-
nerazione all’altra: u sonu (il suono) non ha per loro “nulla a che vedere” con la mu-
sica, la cui essenza risiede appunto nella trasmissione per mezzo della scrittura. Le
espressioni purtari u sonu â zzita (lett. ‘portare il suono alla fidan zata’) e tèniri sonu
(lett. ‘tener suono’) significano rispettivamente “eseguire una serenata” e “tenere una
festa da ballo”. L’uso consapevole del termine musica affiora tuttavia parados -
salmente tra i pastori, che assimilano i diversi suoni dei campanacci (campani) a
quelli degli strumenti musicali della banda e dell’orchestra (cfr. Bonanzinga 2005),
mentre i fabbri non solo perpetuano l’antico mito mediterraneo della nascita della
musica dall’incudine, ma addirittura rovesciano occasionalmente la funzione dei pro-
pri strumenti da lavoro, cimentandosi nell’ese cuzione di vere e proprie “sonate” im-
pugnando uno o due martelli (cfr. Bonanzinga 1999b).
I suonatori-cantori ambulanti specializzati nel repertorio sacro venivano chiamati
orbi, poiché erano in prevalenza ciechi quanti intraprendevano questa singolare pro-
fessione: «Dire orbu, e dire sunaturi o ninnariddaru, è lo stesso» (Pitrè 1889/I: 345).
Di norma si esibivano in coppia suonando il violino e il citarruni (bassetto a tre corde