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X. 9. La musica di tradizione orale          193




            norma a un’appartenenza territoriale o a una condizione professionale – divenendo
            significativamente «il simbolo musicale di un borgo o di un mestiere» (Tiby 1957:
            13) – e viene preceduta dall’espressione a la (o in forma contratta â) con valore en-
            clitico. Ancora oggi si possono rilevare canti eseguiti a la bbaccillunisa, a la santa-
            luciota,  a la ciuminisana (‘alla maniera di’ Barcellona, Santa Lucia del Mela,
            Fiumedinisi, tutti paesi della provincia di Messina), oppure â carrittera, â surfarara,
            â viddanisca (‘alla maniera di’ carrettieri, zolfatai, contadini). La struttura melodica
            della nota è di norma costituita da due frasi associate a due versi del canto (in un’ot-
            tava la melodia di base si ripete quindi quattro volte). Il verso viene indicato col ter-
            mine palora (o parola), mentre la coppia di versi (corrispondente alla melodia
            completa, normalmente in forma bipartita) è denominata sirba (sirbia, sirva, cibba)
            o peri (piede). Un elemento che spesso ricorre nei diversi stili di canto rilevati in Si-
            cilia è l’impostazione a voce spiegata, con pronunciata emissione di testa, come d’al-
            tronde accade in numerose altre tradizioni dell’area mediterranea. Questo tipo di canto
            – radicato soprattutto nell’ambiente agropastorale – presenta profili melodici non ri-
            conducibili all’impianto tonale della canzone moderna, a cui invece si conformano
            le arii o canzunetti di provenienza urbana semiculta e i canti narrativi (sacri o profani)
            tramandati dai cantastorie.


            9.3. Canti dell’infanzia
               Ai nostri tempi non rimane molto delle pratiche ludico-espressive tradizionalmente
            associate al mondo dell’infanzia. Ninnananne, rime, filastrocche, scioglilingua e in-
            dovinelli, che in passato caratterizzavano fortemente l’interazione fra adulti e bam-
            bini, sono ormai quasi soltanto un fatto di memoria per gli anziani, con sporadici casi
                                                  di trasmissione alle ultime generazioni.
                                                     Una descrizione del tipo di culla più
                                                  diffuso in Sicilia giova a esplicitare la ci-
                                                  nesica associata all’esecuzione delle nin-
                                                  nananne. La culla consisteva difatti in un
                                                  guscio di robusta tela sospeso, mediante
                                                  corde, tra due muri di una stanza (spesso
                                                  sopra il letto dei genitori). La  naca a
                                                  bbuolu (culla “volante”) poteva quindi
            Fig. X.51. Provincia di Caltanissetta 1954.  oscillare, e il verbo derivato nnacari (o
            Donna alla culla [foto di Alan Lomax]  annacari) significa infatti dondolare.
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