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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

         un doccione, ostrutto artificiosamente, per sgocciolarvi dell'acqua a stilla a stilla, a onda a onda, o
         riversarvela a catinelle, a seconda della volontà superiore che presiedeva alla morte della vittima
         infelice. Quell'antro fa venire le vertigini, è una specie di gola d'abisso, di tartaro, di bolgia maledetta.
         (…) Quando uscimmo da quella buca, eravamo gialli come lo zafferano, infreddati, ciechi, lacrimanti
         e con il capogiro nella mente (…) Nel piano superiore v'ha una serie di cameracce a volta bassa tutte
         in macerie; stanze ove erano installati gli ufficiali e i soldati;
         Dunque un carcere durissimo, dove l'accoglienza riservata ai detenuti, in maggioranza politici, era
         certamente disumana. Pare che, ai tempi della visita del cavalier Polizzi e dello Struppa, fossero
         ancora visibili celle ad altezza d'uomo e strettissime e buie (detti dammuseddi poiché coperte di
         volticine di pietra) nelle quali si rinchiudevano pure i testimoni falsi o reticenti e i rei negativi: veri
         canili ove la persona, per l'angustia del sito, doveva rimanere accoccolata e spesso con la sola
         camicia e dove erano financo difficile rannicchiarsi sulla dura panca di legno. Ma non tutto è visibile.
         Il popolo, infatti, tramanda ancora la memoria di fosse comuni, rinserranti ossa di condannati alla
         pena capitale eseguita in segreto. Una leggenda narra anche di una "fossa"…grotta a cui si scende
         dal forte per una scala tagliata anch'essa nella roccia, lunga nella discesa quanto alto è il monte (344
         metri). Un vecchio detto popolare tramandato tra gli isolani dice: " o' casteddu di Santa Catarina c'è
         na scala di vinti scaluna, cu scinnni vivu, mortu acchiana" (al castello di Santa Caterina c'è una scala
         di venti gradini: chi scende vivo, risale morto)

Immortalata in una canzone, la fortezza di Santa Caterina viene così descritta

                                                                CARZARI VICARIA
                                                         Carzari Vicaria, la Favignana
                                                        lu casteddu di Santa Catarina!
                                                        Malidittu cu fici a Santu Vitu:
                                                    dintra e di fora è di ferru allannatu!
                                               Cu cci havi un frati e cu cci havi un maritu
                                                        'nni du misiru locu scunsulatu
                                                      Lu carzaratu cala notti 'un dormi
                                                   Pensa a la libertà, mori e s'addanna.

Tra i tanti infelici liberali deportati dai Borboni a domicilio coatto, si ricordano il Generale Tupputi7, il benemerito Carlo
Cottone Principe di Castelnuovo, i due fratelli Francesco e Gregorio Ugdulena l'uno bravissimo grecista, l'altro insigne
orientalista e studioso di lingue, gli avvocati Giuseppe e Carlo Poerio8, (padre e figlio) i fratelli Carlo e Nicolò Botta9,
Andrea Maggio e Alessandro Guarnera, Andrea Valiante10, Giuseppe Scarperia11, Giuseppe Abbamonti12, Vincenzo
Olivieri Romano13, Raffaele e Bartolomeo Oliveri14, Giuseppe Coppola, il barone Giovanni Hernandez.

NOTE:

1 Melone invernale.
2 Muda : carcere buio e freddo
3 Capo della Polizia Borbonica in Sicilia.
4 Contaminata, infetta.
5 L'avvocato fiscale Cugini cercò di mitigare l'orrore dei dammusi, prescrivendo che avessero una cubatura di ottopalmi e non di quattro o cinque
come era per il passato (mc,1,28), avessero un lettuccio della larghezza di due palmi (cm.51) e che nel corso delle 24 ore si dovesse dare al
detenuto l'acqua e un pane di once 24, e solo di cento libbre fossero i ferri alle mani e ai piedi.
6 "Vicariota" canzone elaborata da Giuseppe Ganduscio su un originale raccolto da G. Favara. Eseguita da Ganduscio nel 33/17 Lu Carzaratu e nel
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