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CAPITOLO 2

siti dove risulta possibile riattivare l’estrazione, evitando l’apertura di nuove cave, e in secondo
luogo degli ordini di priorità per gli interventi di recupero.
Lo studio sui siti di cava nell’ambito dei poli estrattivi della Gallura (Sardegna nord orientale)
(Marini et al., 2007), condotto dall’Università di Cagliari, ha interessato i maggiori siti estrattivi di
materiale lapideo presenti in Gallura. Da tale studio emerge che la maggior parte dei siti non più
attivi sono stati recuperati tramite interventi di rinaturalizzazione, nonostante tale scelta risulti
compatibile con le caratteristiche dell’area, la ricerca ha mostrato la possibilità di sostenere altre
tipologie di recupero che avrebbero il vantaggio di garantire, oltre alla ricomposizione
ambientale del sito, ricadute di natura economica quale compensazione per il ruolo svolto nel
settore produttivo da tali aree.
Un'altra esperienza ritenuta significativa riguarda lo studio elaborato per le “Cave abbandonate
nel territorio di Mottola” (Greco et al., 2006) portata avanti dal Politecnico di Bari, Dipartimento
di Ingegneria Civile e Ambientale e Dipartimento di Architettura e Urbanistica. Lo studio ha
inteso non solo analizzare le cave abbandonate ma individuare dei possibili utilizzi finali
attraverso il ricorso all’uso della analisi a criteri multipli, metodo dei regimi Israel-Keller. Tale
studio propone una metodologia volta ad individuare le possibili destinazioni finali secondo dei
parametri oggettivi di tipo qualitativo.
Le esperienze di ricerca citate, pur affrontando il tema a livello territoriale, si riferiscono a scale
diverse: si passa dal livello regionale a quello del polo estrattivo sino ad arrivare a quello
comunale; gli esempi riportati mostrano la volontà di agire a livello territoriale per indirizzare il
recupero verso riutilizzi di tipo funzionale. Il solo recupero naturalistico e morfologico in alcuni
casi rappresenta un limite e un’occasione perduta per il territorio, si riscontra infatti la mancata
valutazione di alternative possibili in relazione alla specifica vocazione delle aree.
Le esperienze citate portano a riflettere su quale possa essere il livello di pianificazione ottimale
quando si ragiona sui siti di cava. In particolare è ormai regola della pianificazione limitare il
consumo di suolo e la compromissione del territorio, analogamente gli strumenti settoriali che
disciplinano l’esercizio delle attività estrattive sono orientati a ridurre al minimo il numero dei siti
estrattivi attivi e a favorire la concentrazione delle attività di coltivazione mineraria in un numero
limitato di aree piuttosto che polverizzare i siti di prelievo. La pianificazione delle attività
estrattive opera un censimento delle aree di cava, effettuato di norma attraverso il Catasto cave,
includendo sia le cave attive sia le cave inattive, queste ultime comprendono i siti dove risulta
possibile una riattivazione delle attività di coltivazione, anche per periodi limitati, finalizzata al
recupero successivo. Non si ritiene opportuno che il Piano delle attività di cava operi una
previsione in merito alla destinazione finale dei siti: in primo luogo il livello di dettaglio regionale
o provinciale non è quello ritenuto ottimale per una decisione in questo senso e può limitarsi a
definire delle possibili alternative; in secondo luogo la competenza circa la destinazione
urbanistica dei suoli è affidata allo strumento urbanistico di livello comunale, scelta supportata
dagli studi di dettaglio necessari per l’elaborazione dello strumento di pianificazione.

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