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            ripagate con l’offerta di beni alimentari. I Guardiani alternano momenti in cui trat-
            tengono l’Ussu ad altri in cui lo lasciano libero di scorazzare e agire senza freni. In
            questo caso riscontriamo quindi la presenza di tratti rituali arcaici – ostentazione del-
            l’eros e drammatizzazione della sequenza caccia/cattura/addomesticamento dell’ani-
            male selvatico associate a pratiche di questua – riconfluiti nella più rassicurante
            cerimonia carnevalesca del Principe cacciatore.


            9.8. Balli sociali e rituali
               Le occasioni del ballo erano soprattutto legate al Carnevale, ai matrimoni e alla
            conclusione dei grandi cicli della vita agropastorale (mietitura, vendemmia, tosatura).
            In queste circostanze era ammesso il ballo a coppie miste, mentre in altre occasioni
            spesso si danzava soltanto fra uomini. Il progressivo declino delle tradizionali mo-
            dalità della vita comunitaria, dove la danza svolgeva fondamentali funzioni di aggre-
            gazione sociale e identificazione culturale, ha comportato tuttavia un grave
            impoverimento del repertorio coreutico, specialmente nelle sue forme più arcaiche
            (per un quadro generale si veda Bonanzinga 1999a). Un elenco dei balli ancora pra-
            ticati nella seconda metà dell’Ottocento è fornito da Pitrè, che riferisce anche le prin-
            cipali occasioni in cui i suonatori ambulanti si riunivano in piccole orchestrine per
            tèniri sonu dietro compenso: «Il sonu (plur. sònura, sònira; sona in Noto), o scialu
            come si dice a Novara e altrove, è un gran divertimento del nostro popolino. Uno o
            più suonatori di violino, di violoncello, o di friscalettu (zufolo), o di chitarra, nelle
            ore pomeridiane delle domeniche o delle grandi feste locali e generali, chiamati o
            spontaneamente, si mettono a sonare in una stanza a pianterreno, sullo spianato di
            una casa, in una piazzuola, in un cortile. Uomini e donne, per lo più giovani, della
            casa o del vicinato, accorrono a ballare dove la fasola, la napulitana (S. Agata di Mi-
            litello), lu diavulicchiu (Siculiana), la tarantella o la puliciusa (Cefalù); dove lu ta-
            rascuni [trescone] la ’ngrisina [inglesina], lu ’lannisi (l’olandese?), la satariata; dove
            la capona, lu chiovu o lu chiuviddu (Menfi), lu trasi-e-nesci, la virdulidda, lu lupulù
            (Ragalmuto, Menfi), la pituta, la papariana, la ruggera, lu maniettu (minuettu, mi-
            nuetto) cu lu suspiru e qualche altro ballo. Ciascun pezzo da ballo è detto ballettu, e
            ciascuna sonata, figuratamente caddozzu [rocchio]. Una sonata si paga un baiocco
            (cent. 4) o un soldo» (1889/I: 349-351). Le indagini moderne hanno evidenziato un
            notevole impoverimento soprattutto nel settore dei “balli sociali”. Musiche da danza
            vengono eseguite dalle “orchestrine” ancora oggi frequenti in ambiente cittadino e
            paesano, che conservano nei loro repertori, insieme a polche, valzer e mazurche, anche
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