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X. 9. La musica di tradizione orale          239




            capo, l’intrecciarsi delle file dei danzatori e la loro disposizione in circoli semplici e
            doppi, l’atto di solcare e percuotere il terreno con le spade – rimandano tuttavia chia-
            ramente a rituali legati al rinnovarsi della vegetazione. Questo ballo di matrice agraria,
            in origine molto probabilmente legato al ciclo produttivo del lino (come del resto si
            rileva nella Spagna meridionale), viene dai castelterminesi interpretato come omaggio
            alla santa Croce da parte degli “infedeli”, che così sancirebbero la loro conversione
            al cristianesimo (motivo che ha peraltro determinato l’inserimento, in tempi recenti,
            della “figura della croce” formata dai danzatori genuflessi).


            9.9. Spettacoli dei cantastorie e “sfide” poetiche
               Mentre nel caso del repertorio sacro, e dei suoi principali mediatori (i cosiddetti orbi),
            si dispone di una documentazione notevole almeno a partire dalla metà del Seicento,
            molto meno prodighe di notizie si rivelano le fonti finora indagate riguardo alla produ-
            zione e alla circolazione delle storie di argomento profano. Questa carenza è dovuta es-
            senzialmente a due fattori: da una parte, come abbiamo visto, la Chiesa teneva sotto
            controllo i cantastorie sedentari, specializzandoli nel repertorio devozionale per evitare
            che prestassero opera entro contesti di dubbia morale (in particolare taverne e postriboli);
            d’altra parte le forze di pubblica sicurezza regolavano l’attività dei suonatori ambulanti
            allo scopo di evitare la diffusione di ideali “pericolosi” sul piano politico-sociale (nella
            Sicilia spagnola e poi borbonica non regnavano certo libertà di stampa e di opinione).
               Tra i capitoli della Confraternita de’ Ciechi di Palermo ve n’era uno che esplicitamente
            vietava di cantare «istorie profane, burlesche e scandalose» (si veda lo statuto completo
            emanato nel 1755 riprodotto in Bonanzinga 2006b). La proibizione rivela tuttavia indi-
            rettamente l’esistenza di una prassi che doveva essere piuttosto consueta. Una voce
            “laica”, quella del marchese di Villabianca (erudito e diarista palermitano), segnala difatti
            che nella seconda metà del Settecento il repertorio degli orbi comprendeva anche storie
            che trattavano argomenti comico-satirici e cavallereschi: «[…] fra esse che son date alla
            luce delle pubbliche stampe riescon pregevoli Lu calaciuni a tri cordi, ch’è lo stesso di
            Lu curnutu cuntenti, La storia del Meschino, Il mercadante fallito, Il demonio tentatore,
            La storia di Orlando, Aromatario e taverniere ed altri» (ed. mod. 1991: 113). Non si
            sono finora potuti trovare riscontri materiali alle storie menzionate da Villabianca. In Si-
            cilia è difatti quasi del tutto mancata quella sensibilità “antiquaria” che in altri Paesi eu-
            ropei ha determinato, a partire dalla metà del Seicento, la formazione di ingenti collezioni
            dei prodotti della “letteratura di strada”, oggi ordinatamente conservati e disponibili per
            la consultazione presso archivi e biblioteche. Un’ampia ricognizione delle storie siciliane
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