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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

Le sentenze di morte dovevano eseguirsi entro le ventiquattr'ore, ma bisognava aspettare dieci giorni l'arrivo del boia
da Palermo. Il 20 settembre il Pubblico Ministero Fardella rilasciava quest'ordine:

         " Dovendo la mattina di domani, che si contano il ventuno del detto mese di settembre, alle ore
         tredici, aver luogo l'esecuzione della decisione medesima, ordiniamo che Don Giuseppe Galeotto
         usciere presso la Commissione istessa, alle ore dodici di detto giorno si rechi in abito nero completo,
         nel Castel San Giacomo di questa Isola, ove ritrovansi i pazienti per i soliti esercizi spirituali; che li
         accompagni fino al patibolo, portando in mano nel modo prescritto dalla Legge, la bacchetta nera, e
         che pratichi tutte le altre incombenze al suo impiego inerenti, redigendo di tutto il corrispondente
         verbale".

E puntuale, il boia Galeotto, il 29 settembre eseguì le condanne a morte redigendo il seguente verbale:

         "Oggi il giorno di sopra alle ore 12 d'Italia, vestito di abito nero completo, mi sono conferito in questo
         Castel San Giacomo, e propriamente nella cappella del piano superiore, dove ho rinvenuto i nominati
         Isidoro Alessi, Don Giuseppe Ragusa, Cosmo Cambria e Michele Zurlo condannati a morte,
         rispettivamente assistiti da varj chiesastici, e custoditi dalla forza militare e dal Capitano d'Arme del
         Distretto don Niccolò Malato, e nel corpo di guardia di esso Forte, ove ritrovatasi parimenti custodito
         dalla forza l'altro condannato a morte don Nicolo Saulle. Alle ore dodici e mezza si presentò un corpo
         di gendarmeria schierandosi sui camerini coverti del cennato Castel San Giacomo. Alle ore tredici ed
         un quarto si estrasse dalla Cappella custodito con la forza e con l'assistenza dei sopra detti
         chiesastici il condannato Alessi, e si pose in cammino per le forche situate in luogo pubblico, e
         propriamente sul rivellino del Forte San Giacomo; dopo pochi minuti giunse alle medesime, e dopo
         aver adempito i debiti atti di Religione, subì la morte alle ore tredici e venticinque minuti.
         Alle ore tredici e mezza sortì dalla Cappella il condannato Ragusa colla medesima scorta, e giunto
         nel luogo del supplizio subì la morte alle ore tredici e quaranta minuti. Quindi, e precisamente alle
         ore tredici e tre quarti, fu estratto dalla Cappella il condannato Cambria, custodito dalla forza ed
         assistito dai Ministri della Religione; giunto al luogo del supplizio, dopo pochi minuti subì la morte.
         Quindi si estrasse dal locale, ove trovatasi, il condannato Saulle, e postosi in marcia alle ore
         quattordici giunse al luogo, ove trovatasi piantata la guillottina, e propriamente nel piano al di dietro
         del cennato Forte, e dopo pochi minuti subì la morte. E finalmente fu estratto dalla Cappella il
         condannato Zurlo, alle ore quattordici e un quarto, e subì la morte alle ore quattordici e venticinque
         minuti. L'esecuzione ebbe termine a detta ora, col massimo buon ordine e con la maggiore
         tranquillità. I cadaveri de' suddetti condannati Alessi, Ragusa, Cambria e Zurlo furono consegnati dal
         capitan d'arme del Distretto, previo il ricevo, al secondo Cappellano del suddetto Castel San Giacomo
         sacerdote Don Giovanni Battista Merigo e poiché il condannato don Nicolò Saulle ricusò di accettare i
         soccorsi della religione e mostrò segni equivoci d'impenitenza, fu sepolto fuori di chiesa, in un luogo
         poco distante dal Castello medesimo, alla presenza del suddetto Capitan d'arme e del Regio Giudice
         del Circondario".

Ma quella non fu la sola volta che il boia eseguì delle condanne a morte presso Castel San Giacomo. Il 18 luglio 1822
tre servi di pena: Cherosimo Luigi, Coppola Giuseppe e Ripoli Nicolò furono condannati alla pena di morte dalla Corte
Marziale di Trapani per avere ucciso a colpi di stile il detenuto Salvatore Sparto, così come avevano riferito il Capo
Presidiario Giacomo Sercia ed i soldati Sebastiano Settineri e Luigi Belloccio. Il trasferimento dei condannati sul
luogo dell'esecuzione avveniva "a piedi nudi, vestito di nero, col velo nero che gli copre il volto e trascinato su di una
tavola con piccole ruote di sotto, e con cartello in petto su cui sia scritto a lettere cubitali "UOMO EMPIO".
L'impiccagione fu eseguita a 24 ore dalla sentenza al fine di dare l'esempio a tutti i condannati.
La violenza, la tortura, l' omicidio, erano all'ordine del giorno nelle carceri Regno delle due Sicilie e quindi anche in
quelle siciliane. Luigi Settembrini nel suo libro di memorie "Ricordanze della mia vita" in cui racconta la sua
carcerazione sull'isola di Ventotene ci descrive le atroci punizioni riservate ai carcerati del Regno
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