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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

         "il colpevole è disteso bocconi sopra uno scanno in mezzo al cortile e due aguzzini con due grosse
         funi impiastrate di catrame e immolate con l'acqua, è battuto fieramente sulle natiche e sui fianchi
         ancora e sui femori. Il comandante prescrive il numero dei colpi ed è presente col medico e con il
         prete (…) dopo le battiture è incatenato ad un piede e messo al puntale (cioè l'altro capo della catena
         è fisso ad un grosso anello di ferro che sorge sul pavimento di una segreta o è fisso ad un cancello
         di una finestra) e così sta assai giorni e mesi. Talvolta gli mettono ancora le traverse, che sono due
         semicerchi di ferro messi ai piedi e fermati da un grossissimo pezzo che pesa sui talloni e rende
         difficile e doloroso stendere un passo".

Gli omicidi e i ferimenti tra detenuti, portati a compimento con l'ausilio di coltelli rudimentali, erano la quotidianità;
"pare impossibile - racconta ancora il Settembrini - che uomini chiusi in un ergastolo (l'isola di Ventotene n.d.r.), su di
uno scoglio lontano, vigilati severissimamente, minacciati da terribili castighi, possano avere armi, e tante;; ma essi vi
spendono ogni denaro, se ne fanno portare dai custodi o dagli inservienti, i quali vendono loro lime o pezzi qualunque
di ferro, cui essi danno forma di pugnale. Talvolta raccolgono chiodi e bullette, strappano i cardini dalle porte,
svelgono ferri e maglie di catene, li gettano nel fuoco e, di notte, tra due pietre, l'una che serve da incudine, l'altra da
martello, fanno di queste armi meravigliose. Le nascondono nei muri, sotto le selci del pavimento, negli arnesi di
legno bucati e turati diligentissimamente. Per ritrovarle i custodi usano diligenza incredibile: ricercano le persone e le
fanno spogliare, rovistano tutte le masserizie, sconnettono le pietre del pavimento, staccano l'intonaco dalle pareti…."
Banali liti tra detenuti, alimentate da rancori, dal giuoco della carte (che era comunque proibito ma che costruivano
con pezzetti di legno) o ingigantite dal vino, sfociavano in fatti di sangue, alcuni clamorosi, come quello che avvenne il
21 luglio del 1878 all'interno delle mura del Forte. Il trentaduenne direttore del carcere, Salvatore Antonucci,
originario di Napoli veniva barbaramente assassinato da un gruppo di detenuti che come arma del delitto useranno il
coperchio di una latta di conserva di pomodoro, accanendosi su quel probo funzionario, intelligente e zelante (così
recita l'epitaffio sul cippo funerario del piccolo cimitero dell'isola) fin quasi a decapitarlo. Appena un anno prima,
l'Antonucci, reggente la direzione del Bagno Penale di Favignana, il 6 luglio 1877 aveva ricevuto dal Ministero della
Marina, un attestato ufficiale di benemerenza pei filantropici ed efficaci soccorsi prestati a due Tartane nazionali ed ai
rispettivi equipaggi pericolanti nelle acque dell'isola di Favignana il 30 gennaio 1877.
L'Amministrazione Carceraria dell'epoca, così lo ricorda:

         Antonucci Salvatore/ di ferace impegno e di modestia senza pari/ avevasi accattivata, per lunga
         pezza che vi fu/ la stima e la benevolenza dell'intera cittadinanza/ resse la direzione del Bagno
         Penale di Favignana/ con zelo pari alla diligenza/ Se una mano ribalda ed ingorda di sangue/ tolse
         agli sventurati un benefattore, ad una affettuosa madre, cadente negli anni, l'unica tenerezza
         d'amoroso figlio./ Ai compagni d'amministrazione un funzionario da servire per modello d'esemplare
         operosità.

NOTE:

1 Avvocato di Napoli. Arrestato durante i moti del 1820 venne rinchiuso nel carcere di San Giacomo a Favignana quando nel maggio 1825 svelò alle
autorità dell'isola l'esistenza di una setta carbonara all'interno del carcere. Per ovvii motivi cautelari venne allontanato dall'isola ed inviato a Marittimo
ove rimase dal 1° luglio al 30 novembre 1825. La pena dell'ergastolo gli venne nel frattempo commutata in quella della relegazione nell'isola di
Favignana. Ma, essendo stato coinvolto per affari di carboneria venne tradotto nel Castello di Terra di Trapani ove vi rimase fino alla morte che lo
raggiunse il 30 gennaio 1827 all'età di 44 anni.
1 Nella chiesa cattolica, prima della riforma del 1972, si indicava il chierico (persona già avviata al sacerdozio e che indossava l'abito talare e aveva
subito la tonsura) cui era stato conferito il suddiaconato, primo degli ordini sacri col quale cominciava; questi aveva l'obbligo del celibato e della
recita del breviario.
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