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17/11/2020 Tonnare e saline: una connessione economico-produttiva importante nella storia economica del litorale siciliano. – Cose di Mare
diversi: il os gari (“ ore” di garum) ed il liquamen gari (di minor pregio).
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Principalmente confezionata in anfore per liquidi dalla bocca stretta e dalle CONTATTI METEO
dimesioni contenute [8] , la “salsa di tonno”, non di rado miscelata a vino [9]
(aenogarum), ad olio (oleogarum), ad aceto (oxygarum) ovvero semplicemete
ad acqua (hydrogarum), veniva stoccata in magazzini per poi essere collocata
sul mercato. Si ritiene che le fattorie di salagione siciliane si limitassero a
rifornire il mercato locale mentre è accertato che quelle iberiche si
rivolgessero, attraverso ben collaudati percorsi marittimi, al mercato estero
[10] .
Il “ciclo del prodotto” garum, iniziato coi greci già nel V secolo a. C., si avviò,
tuttavia, verso il declino con il collasso dell’Impero Romano d’Occidente (476
d.C.). Venuto meno il presidio della otta romana, le coste siciliane, con il loro Castelluzzo: mare e campagna
carico di vita sociale ed economica, non furono più al sicuro. Le cetariae
dovettero subire ricorrenti incursioni piratesche, le quali resero
massimamente rischiosa l’intrapresa economica della produzione del garum,
per sua natura bisognosa di un periodo di lavorazione relativamente lungo. Il
garum è ancora menzionato in un diploma, datato 716 d.C., emesso
dell’abbazia di Corbie (Francia) e presumibilmente la sua produzione
scomparve del tutto in età carolingia (IX secolo). Andato “fuori produzione” il
garum, la salagione di tranci di tonno (tàrichos) -meno impegnativa in termini
di durata del processo produttivo- poté emergere come il core business delle
tonnare siciliane.
Il sodalizio tonno-sale era destinato a durare ancora a lungo, almeno no allo
scorcio del XIX secolo. Da quel momento, infatti, al sale si è a ancato, no a
sostituirlo quasi del tutto, l’olio d’oliva. Ed è esattamente qui che la storia delle
tonnare di Sicilia incrocia, per esserne fecondata, quella di una famiglia: i
Florio.
Vincenzo Florio (1799-1868), dopo aver trasformato “Il Coccodrillo” -la piccola
drogheria paterna presso il mercato della Vuccirìa di Palermo- in un’impresa
per il commercio internazionale dei coloniali, “si occupò sulla pesca de’ tonni,
perfezionandone gli stromenti, ed inventandone dei nuovi; ed insegnò pure a
tener conto delle parti del pesce, che pria si buttavano come inutili: nel che
riuscì con molto pro tto” [11] . Una delle intuizioni del capostipite dei Florio fu
quella di legare la conservazione del tonno all’olio d’oliva, un prodotto tipico
siciliano il cui commercio internazionale faceva -insieme a molte altre attività
[12] – parte del suo business.
L’intuizione si tradusse in una vera e propria innovazione tecnologica, ad un
tempo, di processo e di prodotto. Nelle tonnare Florio nuovi metodi di
lavorazione e conservazione del tonno si sostituirono progressivamente a
quelli tradizionali basati sul sale (innovazione di processo). Il tonno,
conservato sott’olio, cambiava colore, odore, sapore, consistenza… diventava,
sul piano organolettico e quindi commerciale, un “nuovo” prodotto
(innovazione di prodotto).
L’innovazione descritta non sarebbe stata tecnicamente possibile se, all’inizio
dell’Ottocento, i francesi Appert e Durand e gli inglesi Donking e Hall [13] non
avessero a messo a punto un procedimento -detto “appertizzazione”- per la
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