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17/11/2020 Tonnare e saline: una connessione economico-produttiva importante nella storia economica del litorale siciliano. – Cose di Mare
[3] Hocquet Jean Claude, Il sale e il potere, Genova, 1990. Per il mondo antico
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cfr. G. Traina, Sale e saline nel Mediterraneo antico, La Parola del Passato, CHI SIAMO CONTATTI METEO
266, 1992, pp. 363-368.
[4] Il professor Gianfranco Purpura -cui va il nostro particolare ringraziamento
per la disponibilità e attenzione prestate al presente contributo- vi ha
dedicato diverse pubblicazioni alle quali abbiamo attinto per ricostruire la fase
antica della storia produttiva e commerciale del tonno. Pesca e stabilimenti
antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia. I – S. Vito (Trapani), Cala Minnola
(Levanzo), Sicilia Archeologica, XV, 48, 1982, pp. 45-60; II – Isola delle Femmine
(Palermo), Punta Molinazzo (Punta Rais), Tonnara del Cofano (Trapani), San
Nicola (Favignana), Sicilia Archeologica, XVIII, 57 -58, 1985, pp. 59-86; III – TorreFavi
Vendicari (Noto), Capo Ognina (Siracusa), Sicilia Archeologica, XXII, 69 – 70,
1989, pp. 25-37; IV – Un bilancio, Atti V Rassegna di Archeologia subacquea
(Giardini, 1990), Giardini, 1992, pp. 87-101.
[5] Anche gli intestini di tonno furuno utilizzati per la preparazione del garum.
[6] Prima dell’utilizzazione, il sale veniva forse triturato; la qualcosa è
ulteriormente confermata dal ritrovamento di frammenti di macina in pietra
lavica anche nel sito delle cetariae di San Vito lo Capo. G. Purpura, cit.
[7] Solo in parte scavate nel terreno, le vasche, in genere, erano disposte in
serie nei pressi del mare, proprio come le piramidi di sale nelle saline, erano
protette dalle intemperie attraverso dei tegoloni (canali). La forma delle
vasche poteva essere circolare ovvero quadrangolare; in entrambi i casi gli
angoli erano smussati per facilitarne la pulizia. Il rivestimento in cocciopesto
era realizzato con minuti frammenti di anfore dismesse misti a calce.
[8] Ad esempio, nel I secolo d.C., sotto i Romani, le Dressel 7-9. Le anfore
contenenti salsa ittica erano internamente rivestite da sostanze resinose che,
oltre a conferire al prodotto un sapore particolare, impermeabilizzavano
parzialmente le pareti del contenitore. G. Purpura, Le anfore, Archeogate,
2002.
[9] Tra i compensi, per così dire, materiali del tonnaroto gurava una certa
razione giornaliera di vino. Il rais Giuseppe Barraco raccontava, di un prelibato
liquore a base di vino e sangue di tonno (una specie di aenogarum)
accidentalmente ottenuto nella tonnara di Tripoli durante una delle stagioni di
pesca che precedettero la metaforica “mattanza” della seconda guerra
mondiale. Caso volle che del vino ricevuto come compenso dall’allora
sottorais Barraco, non fosse consumato subito ma imbottigliato dopo essere
provvisoriamente rimasto in un recipiente di legno intriso di sangue di tonno;
la bottiglia, o meglio il suo contenuto, invecchiò per circa un anno e
all’apertura sorprese, per sapore, colore e consistenza, gli improvvisati
sommeliers della ciurma siculo-libica. Opportuno sarebbe che qualche istituto
enologico dedicasse un minimo d’attenzione alla segreta alchimia che ha
avuto come laboratorio quella bottiglia di Tripoli. Del resto, non mancano casi
di eccellenti prodotti enologici -si pensi al Marsala dell’inglese Woodhouse-
scoperti per puro caso.
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