Page 3 - gli_occhi_rais
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quel contatto fugace che trovava la sua sintesi nella mattanza, la fase finale
            della pesca quando si contavano i tonni catturati e si facevano  i conti della
            stagione di pesca.

                   In questo ruolo il rais rispondeva del suo operato soltanto al padrone,
            l’imprenditore  che impegnava grossi  capitali per  un’avventura  che poteva
            anche segnarne la rovina. Questa condizione, privilegiata per certi versi ma
            carica di responsabilità che non potevano essere divise con altri (il suo vice –
            sottorais – non aveva alcun rapporto col padrone, se non a volte di conoscenza,

            non certo di fiducia qual era quello che legava i due numeri 1 della tonnara),
            imponeva  che il solo rais avesse la piena “conoscenza”  della cose di tonnara;
            non il “sapere”, ché questo è stato spesso condiviso con altri tonnaroti bravi ed
            esperti, a volte in grado di assumere essi stessi il ruolo di rais (è più volte
            accaduto  che  un  capobarca, o sottorais, venisse chiamato in  altre tonnare a
            dirigere la pesca). La “conoscenza” in questo caso si riferisce principalmente
            alla consistenza dei  tonni  catturati fra le reti, in attesa di fare mattanza;
            nessuno all’infuori del rais doveva avere contezza del numero dei pesci ristretti
            nelle “camere” della tonnara, solo lui poteva anticipare al padrone la ricchezza
            di una mattanza, o tacergli la delusione per il mancato arrivo dei pesci tanto
            attesi. Sconfitte e vittorie gli appartenevano. Un errato calo delle reti era
            facilmente interpretabile anche  dai tonnaroti più esperti, ma il numero dei
            tonni rinchiusi erano il suo segreto più intimo, e nemmeno al padrone diceva la

            verità, perché una  delusione al momento di  contare i pesci sul vascello lo
            avrebbe mortificato, e così quando era tempo di mattanza e si doveva preparare
            il ghiaccio  per proteggere la  tunnina dal sole si teneva una “riservata”,
            comunicava trenta  –  quaranta pesci in meno di quelli ipotizzati, lasciando  la
            sperata sorpresa al conto finale quando i pesci venivano portati allo
            stabilimento e affidati agli “scugghiatori” (tagliatori).

                   Il problema era di avere un’idea abbastanza precisa del numero dei tonni
            rinchiusi nella rete, e non era questione da poco. Tralasciamo il “perito spiator
            di tonni”  che dall’alto di una rupe avvistava i tonni entrare nel  golfo e dava
            l’ordine ai compagni di cingerli con una rete trascinata dalle barche di cui parla
            Oppiano di Cilicia (sistema usato nei secoli, ancora negli anni ’50 del 1900 nel

            golfo di Trieste); all’inizio della campagna di pesca, verso la fine di aprile, i tonni
            nuotano rasente al fondo, e anche quando le reti venivano calate nei pressi
            della  costa su fondali  non altissimi era difficile scorgerli; diverse tonnare,
            peraltro, già nei secoli scorsi venivano calate su fondali di 40, 50, anche 70
            metri, dove l’occhio dell’uomo non può arrivare. Per secoli i tonnaroti  hanno
            messo in atto trucchi ed espedienti per indovinare l’arrivo dei tonni fra le reti,
            dall’aspersione di gocce  d’olio sulla superficie  del  mare per renderlo
            fugacemente calmo e trasparente, all’impiego di sottili lenze calate sul percorso
            sottomarino invisibile per “sentire” il contatto col corpo del pesce, agli “specchi
            d’acqua” cilindri di rame  col fondo di vetro  che negli  ultimi decenni
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