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prestanti come tante locandine di promozione turistica ci hanno
spesso proposto). E’ altrettanto ovvio che non si può fermare il
tempo e che siamo inevitabilmente votati, da sempre – dalla com-
parsa della cultura come tratto evolutivo dell’uomo – ad essere più o
meno consapevoli testimoni del lento ed inesorabile mutamento di
pratiche e di tecniche. Il fatto è che le fotografie sulla mmattanza mi
restituiscono, oltre alla gratificante coscienza di un impegno politico
e culturale, anche la dimensione umana di un rapporto con le perso-
ne che dietro quelle immagini c’è stato, e che scopro permane tut-
t’ora, al di là del tempo e oltre i limiti delle inesorabili assenze. Non è
soltanto nostalgia dei tanti caffé consumati all’alba insieme al rraisi e
ai suoi suttarraisi poco prima di imbarcarsi per la mattanza; non è
nostalgia del ricordo di eventi (più che eventi, riti) oramai scomparsi
dal teatro delle vicende quotidiane e che trovano ora spazio solo tra
le pieghe della memoria collettiva (di chi almeno ce l’ha ancora). E’
qualcosa di più. In tante immagini rivedo volti noti, con una storia
familiare, con attenzioni più o meno disinteressate al lavoro di ricer-
ca che, Elsa ed io, svolgevamo. Rivedo gli uomini che per diversi anni
ritornavo a incontrare a maggio, in un rinnovato tacito appuntamen-
to che ci avrebbe scoperto a narrarci, come vecchi amici, le vicende
vissute nella lontananza. Mi piace allora ricordare – se si vuole anche
riproponendone semplicemente lo sguardo che fissa la ciurma, i suoi
tonnaroti (ph. 23) – il suttarraisi Gioacchino Ernandes con la sua osti-
nata iniziale riservatezza che ci ha costretti ad un serrato corteggia-
mento (due anni!) segnato da inviti a cena sistematicamente declina-
ti, da scene di contenuta gelosia perché ad altri e non a lui ci rivolge-
vamo per attingere notizie sulle tecniche di pesca e di sistemazione
in mare del complesso sistema di reti. Porterò sempre con me gli
sguardi di tutta la ciurma che attende un suggerimento di
Gioacchino Ernandes per venir fuori da un momento di difficoltà
operativa della pesca e lui, sempre discreto, a girarsi dall’altra parte
per non creare imbarazzo e per non disconoscere proprio il ruolo mil-
lenario che la tradizione dei suoi padri ha sempre assegnato al rraisi.
In quel momento ho appreso, facendo fotografia, che l’autorevolezza
non è merce che si possa comprare al supermercato!
Così come ritorna alla memoria la scena, esilarante per gli altri, un po’
meno per me, di quando, cercando la posizione migliore per la ripre-
sa fotografica, mi ritrovai con un piede sulla prua del parascarmu e
l’altro sulla poppa del fasceddru i punenti, incapace, a causa del persi-
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