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                                            Nota introduttiva




                                               Le fotografie presentate all’interno di questo volume costituisco-
                                            no una sezione illustrativa della mmattanza del tutto nuova rispetto
                                            al corredo iconografico dell’originaria pubblicazione del quaderno
                                            dell’ACTP nell’ormai lontano 1977.
                                            A distanza di più di trent’anni risalgono alla memoria luoghi,
                                            momenti e persone che, nel fitto dialogo tessuto con me, riscopro
                                            come trama di un racconto che da allora non mi ha mai abbandona-
                                            to, perché da allora non ho mai voluto dimenticare. Un racconto che
                                            nega quanto andavo affermando, ogni qual volta negli anni ’70 mi
                                            ritrovavo a parlare di“etnofotografia”, sull’oggettività del mezzo foto-
                                            grafico: rappresentazione del momento, dell’episodio culturale cui si
                                            stava assistendo, senza coinvolgimento emotivo e interferenza alcu-
                                            na con gli attori.
                                            Susan Sontag ha scritto che “fare fotografie serve a un nobile scopo:
                                            scoprire una realtà nascosta, conservare un passato che sta scompa-
                                            rendo”. Mi piaceva, allora, pensare che ero tanto bravo da scoprire
                                            quanto gli altri non riuscivano a scorgere all’interno di una processio-
                                            ne o di una fase della coltivazione del grano o, che so io, nei gesti
                                            ripetitivi di un artigiano: ero interamente dentro il ruolo di chi regi-
                                            strava, grazie ai sali d’argento, momenti irripetibili; mortificando tal-
                                            volta, per questo, la dimensione relazionale con chi mi stava di fron-
                                            te. Fotografia come documento e atto notarile. Non è così.
                                            Chiamato ad ampliare la sezione fotografica della pubblicazione
                                            sulla pesca del tonno a Favignana, ho scoperto una verità mai con-
                                            fessata (mai confessata a me stesso, intendo dire): esiste una relazio-
                                            ne affettiva con tutte le immagini scattate nel corso delle numerose
                                            campagne di documentazione etnofotografica; ma con alcune tale
                                            rapporto si fa più intenso e, talvolta, anche più struggente, come
                                            tutte le cose che ci riportano a momenti di crescita e di viva parteci-
                                            pazione emotiva.
                                            Non è solo perché ti ritrovi a recriminare su quello che non è più. E’
                                            ovvio e “naturale” che la tecnica della pesca (non solo quella del
                                            tonno) si sia evoluta e adesso siano moderni macchinari a svolgere il
                                            duro lavoro che decenni addietro ricadeva sulle spalle di tanti pesca-
                                            tori segnati e arsi dal sole e dalla salsedine (e non sempre aitanti e





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