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E la nave va. Crispi, Florio e la nascita della Navigazione Generale Italiana
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2019 @ 00:51 In Cultura,Società | No Comments
di Rosario Lentini
La marina mercantile nazionale, sin dai primi anni dell’unificazione aveva assunto e
mantenuto una duplice identità: quella dell’armatoria libera che si fondava
prevalentemente sui velieri in legno e quella delle compagnie sovvenzionate
vincolate dallo Stato a esercitare servizi periodici in determinate linee interne, con
specifiche convenzioni della durata di 15 anni; sovvenzioni giustificate dal fatto che
la rete ferroviaria era ancora incompleta e dalla necessità di assicurare il servizio
postale. Questi contratti non impedivano alle compagnie accollatarie di effettuare
anche viaggi liberi per itinerari interni o esteri.
Fino al 1877 la concessione a imprese private aveva comportato una spesa annua
a carico dello Stato di poco più di 8 milioni di lire e, sotto questo profilo, il governo
italiano non adottava una politica di sostegno molto diversa da quella di altri Paesi.
In misura differenziata le leve della manovra utilizzate erano i premi per miglia di
percorrenza, i premi ai cantieri per incentivare la trasformazione dei velieri in vapori
Pubblicità N.G.I. e le sovvenzioni per servizi di pubblica utilità. Certamente uno dei problemi più
rilevanti era rappresentato dall’esiguità delle somme disponibili nel bilancio dello
Stato per potere intraprendere anche una politica infrastrutturale dei trasporti adeguata e organica. Basti pensare che, in quegli
stessi anni, le somme destinate alla costruzione e all’ampliamento di 35 porti corrispondevano alla metà di quanto si spendeva per
sovvenzionare le compagnie private e che la maggior parte dei piroscafi a vapore venivano commissionati e acquistati nei cantieri di
Inghilterra e Francia.
A seguito di una serie di fallimenti di compagnie di navigazione, alla fine degli anni settanta, si determinò uno stato di fatto di
sostanziale duopolio marittimo: la compagnia palermitana di Casa Florio con 43 piroscafi e la genovese Rubattino con 40, che si
spartivano la quasi totalità delle sovvenzioni pubbliche.
Nella tornata del 9 maggio 1885, nel corso della discussione alla Camera dei deputati, sul merito di un disegno di legge relativo ai
provvedimenti da adottare a favore della marina mercantile, Francesco Crispi, riepilogando i termini della questione antecedenti alla
nascita della Navigazione Generale Italiana (Società riunite Florio e Rubattino), ricordava gli sforzi prodotti nel 1877 dal direttore
generale delle poste Barbavara, per convincere le due maggiori concorrenti italiane a costituire un’unica grande società di bandiera
nell’interesse della navigazione interna. Il Barbavara, infatti, era molto preoccupato della sequenza di fallimenti di compagnie che si
stava verificando in Italia (prima l’Adriatico-Orientale, poi la palermitana Trinacria e infine la Danovaro-Peirano). Ma Crispi non si
limitava a citare il direttore generale delle Poste e proseguiva nel suo intervento in aula con la seguente dichiarazione sulla quale mi
soffermerò perché meritevole di approfondimento:
«Il Florio fu uno dei più avversi a fondere la sua Società con le altre; e per mille ragioni; forse ci entrava anche un po’ l’amore del nato loco. Non
voleva perdere la sua autonomia, e per lo stesso motivo, anche in Palermo si osteggiava la fusione. Ciò nondimeno nei contratti di allora (cioè in
quelli del rinnovo delle convenzioni del 1877) si pose quel celebre articolo, il quale era un’ingiuria alla legge; cioè s’impose che le due grandi Società