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governativi) per contare sul suo decisivo contributo a un’operazione che rivestiva
                 carattere  di  interesse  nazionale.  E,  specularmente,  Florio  non  disdegnava  di
                 apparire  refrattario,  doveva  apparire  ostile  e  aveva  tutto  l’interesse  a  mostrarsi
                 tale,  per  potere  alzare  il  livello  delle  contropartite  e  delle  compensazioni  (per
                 esempio  la  valutazione  dei  suoi  conferimenti).  Basti  pensare  alla  partita  delle
                 valutazioni del naviglio:

                  «è cognito – scriveva nel 1889 una fonte ben documentata che si firmava con lo pseudonimo
                 Sailor – che la flotta della Navigazione Generale, si compone per la maggior parte di vecchi
                 ruderi  della  marina  mondiale,  monumenti,  puossi  chiamarli,  della  navigazione  a  vapore
                 ancora in fascie. [… ] A portare un esempio, accenneremo ai due piroscafi: il Marsala, varato
                 nel 1871, e l’Egadi, varato nel 1872, comperati da Florio in Inghilterra sotto i nomi di Egeria e
                 Galatea per L. 900.000 conteggiati per circa due milioni ed i 15 di Peirano e Danovaro, la di
                 cui fede di nascita varia dal 1861 al 1864, comperati ugualmente da Florio per L. 3.875.111,
                 passati  alla  Società  il  4  settembre  dello  stesso  anno  per  oltre  5  milioni,  cioè  ad  una  sola
                 distanza di 50 giorni, e quindi senza che Florio abbia potuto avere il tempo di spender dei
                 denari per rinnovarli» [16].
                                                                                                        Piroscafo N.G.I. acquerello
                                                                     Perciò,  alla  Camera,  Crispi  si
                                                                     autorappresentava  sostanzialmente  come  colui  che  era  riuscito  a  convincere
                                                                     l’armatore palermitano a mutare atteggiamento, anche se non vi era alcun fondato
                                                                     motivo da parte di Florio per opporsi al progetto di fusione con Rubattino. L’ipotesi
                                                                     formulata  da  Crispi  secondo  cui  alla  compagnia  genovese,  in  caso  contrario,
                                                                     sarebbe  toccata  la  sorte  de  “La  Trinacria”,  va  considerata  soprattutto  come
                                                                     espediente retorico, ma era assai improbabile che potesse verificarsi. Vero è che le
                                                                     condizioni finanziarie della compagnia genovese erano tutt’altro che floride – come
                                                                     Rubattino  stesso  ammetteva  –  ma  non  paragonabili  a  quelle  disastrose  della
                                                                     società  di  Pietro  Tagliavia;  né  era  ragionevole  immaginare  che  egli  perdesse  la
                                                                     fiducia dei suoi creditori come dimostra il fatto che l’anno prima della fusione con
                                                                     Florio, il gruppo di banche che lo sorreggevano (Banca di Genova, Credito Mobiliare,
                                                                     Banca  Generale  di  Roma  e  alcuni  importanti  banchieri  di  Torino)  partecipò  alla
                                                                     trasformazione  in  società  per  azioni  della  Rubattino  acquisendo  una  parte
                                                                     consistente del portafoglio [17]. Alle spalle de “La Trinacria”, invece, non c’era stato
                                                                     un simile pool di banche disposto a farsi carico di un rischio frazionato, ma un Banco
                 Varo piroscafo Europa, 10 marzo 1907                di  Sicilia  sull’orlo  della  bancarotta  per  la  disastrosa  gestione  del  credito,  prima
                                                                     dell’insediamento del nuovo direttore generale Emanuele Notarbartolo.

                 E quand’anche la Rubattino fosse fallita e Florio si fosse fatto avanti per acquistare a vile prezzo i suoi 40 piroscafi, avrebbe dovuto
                 non soltanto sborsare qualche decina di milioni di lire ma confidare anche su un vasto e duraturo consenso e sostegno da parte del
                 mondo politico, industriale e finanziario che a quel punto avrebbe cominciato a preoccuparsi della forte concentrazione della Marina
                 mercantile  nazionale  nelle  mani  di  un  solo  monopolista;  quando  invece,  con  la  fusione,  Florio,  senza  colpo  ferire,  si  ritrovava  a
                 beneficiare di una cospicua valutazione del patrimonio conferito e a mantenere voce in capitolo nella nuova società.

                 Anche  l’atteggiamento  di  Florio  può  essere  letto  in  termini  di  puro  tatticismo,  funzionale  al  conseguimento  delle  migliori  condizioni
                 nell’articolato del contratto costitutivo della N.G.I. Mi sembra perciò plausibile interpretare le parole di Crispi riportate in apertura solo
                 all’interno  di  questa  cornice:  un  gioco  delle  parti  tra  due  protagonisti  che  non  avevano  neppure  bisogno  di  concordare
                 preventivamente i passi e le battute della sceneggiatura; si trattava di convergenza oggettiva di interessi; entrambi sapevano di
                 spalleggiarsi a vicenda interpretando quel copione e di ottenere il massimo dei risultati sperati; rispettivamente l’uno sul piano politico
                 e l’altro su quello imprenditoriale-finanziario.
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