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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

perché abilmente diretta da un capo d'arte recluso che ben potevasi definire un artista della calzatura.
Collocata in due grandi ambienti ben disposti ed aereati, in comunicazione fra loro con un semplice finestrino,
attraverso il quale si passano le materie da trasformare e si ritirano i manufatti.
Il primo ambiente è riservato quasi esclusivamente alla preparazione del lavoro ed al deposito di parte delle materie
prime, mentre il secondo è adibito a vero e proprio laboratorio ed in esso possono comodamente stare 50 reclusi con
12 panchetti. L'officina è fornita di 4 macchine da cucire tipo Singer, adattabili al diverso stadio del manufatto, né
mancano le piccole macchinette per fissare le agraffes, gli occhielli, i bottoni ecc. Una discreta quantità di utensili
diversi costituisce la dotazione necessaria per alimentare almeno 16 panchetti con 4 lavoranti per ciascuno di essi.
Si lavora a richiesta dei committenti locali e di ditte commerciali di altre regioni. Nle 1917, si è parzialmente appaltata
l'officina offrendo la sola mano d'opera e le materie accessorie ad un imprenditore di Trapani che forniva le materie
prime con prevalenza di tomaie cucite.
Negli anni più prosperi l'officina era affidata ad un capo d'arte recluso che, per la grande valentia, procurò una
meritata fama ed una estesa clientela al Penitenziario. La media dei detenuti addottivi, compresi i "rattoppini" , si
aggira intorno a 12, inclusi 2 apprendisti che lavorano a cottimo (ad eccezione dei rattoppini).
Si confezionano a preferenza scarpe da campagna, ma se ne fanno anche di pelli fini, a seconda le richieste. Lo
smercio di tali manufatti è assicurato, essendo la produzione in rapporto col tenue numero di lavoranti: l'officina però
potrebbe essere più produttiva e potrebbe accettare le richieste di calzature che pervengono da alcuni commercianti
fuori provincia e anche dalla Tunisia, senza dire di taluni orfanotrofi e ricoveri di beneficenza che più volte si sono
rivolti alla Direzione per forti commissioni di scarpe. Ma per fare ciò occorrono buoni e molti lavoranti, di cui
presentemente si difetta…

Officina falegnami e seggiolai

Fiorente prima della venuta dei detenuti libici, specie quella dei seggiolai che costrusse ed esportò un'infinità di ottime
sedie di forme diverse, si ridusse, poi, durante il periodo bellico, al semplice ufficio di riparare il materiale dello
Stabilimento ed a costruire le tante casse da morto per i numerosi decessi verificatisi fra i detenuti libici, specie
nell'anno 1917.
L'officina falegnami è situata i due grandi ambienti, discretamente aereggiati ed illuminati, divisi da un cortile chiuso da
mura altissime ed ove d'estate i reclusi possono liberamente lavorare temperando i calori tropicali del luogo. Sei
banchi da lavoro, un tornio ed una sufficiente quantità di attrezzi ed utensili diversi dotano sufficientemente l'officina.
Produce dei mobili assai ben fatti, mobili che giovarono per fare in paese una buona reclame e conseguentemente
molte richieste di manufatti. Vi si costruiscono anche infissi d'ogni genere e si fanno le riparazioni: in breve si
eseguono tutti i lavori di ebanisteria e di maestro d'ascia. Il numero dei detenuti che ivi lavorano è di 9 compresi 2
apprendisti.
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