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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano
SAN GIULIANO: L'OMBRA DI MELLUSO
Il decano dei pentiti, l'implacabile accusatore di Enzo Tortora, Gianni Mellùso detto "Il bello", nel 1980 è ancora un
perfetto sconosciuto; un detenuto come tanti altri con fine pena nel 2000 per omicidio e rapina.
E' detenuto nelle carceri di San Giuliano quando nelle prime ore di domenica 28 settembre 1980 evade insieme ad
altri tre detenuti.
La sua corsa verso la libertà durerà solo 12 ore, infatti agenti di P.S. e Carabinieri lo ritroveranno, insieme ai suoi
complici, dentro il cimitero di Salemi dove nel frattempo si erano rifugiati.
Il battesimo di fuoco per un detenuto che appena qualche anno dopo riempirà verbali con le sue infamanti
dichiarazioni a danno del popolare presentatore televisivo Enzo Tortora.
E' la notte del 28 settembre 1980. A causa del perdurante caldo afoso di quei giorni, il direttore del carcere aveva
emanato un ordine di servizio con il quale autorizzava l'apertura delle porte blindate di sicurezza delle celle, anche
durante le ore notturne; la cella rimane chiusa solo dal cancello che permette il ricambio dell'aria.
Approfittando di tale situazione, tre detenuti: Melluso, Giampiero Previtali1 e Francesco Scovazzo2, con un seghetto
segano le sbarre del cancello della cella e si ritrovano nel corridoio della sezione. Sequestrano l'agente di servizio e
lo legano con il filo del telefono di sezione, che hanno avuto cura di tagliare, non essendoci corda a portata di mano;
dopo liberano un loro amico Giuseppe Sansone3 e si acquattano dietro un angolo in attesa del capoposto che dovrà
effettuare la conta notturna dei detenuti.
Poco prima delle tre del mattino l'ignaro appuntato e una guardia di rinforzo aprono il cancello d'ingresso della
sezione ove sono detenuti i pericolosi criminali e vengono immediatamente colti di sorpresa e sequestrati. Coltello
puntato alla gola vengono rinchiusi, al piano terra della sezione Penale, nell'ufficio del capoposto, quindi, con le chiavi
dei cancelli, si avviano lungo i corridoi sequestrando un altro agente e tenendolo sotto minaccia del coltello inducono
agli agenti della portineria ad aprire loro i cancelli. Infine, riescono a farsi consegnare un mitra e due caricatori, si
impossessano delle chiavi del portone principale e dopo aver indossato dei cappotti grigio verdi trovati in portineria
escono, ad uno ad uno, indisturbati, scappando verso una direzione imprecisata.
Gli evasi si imbattono in un pescatore dilettante e spacciandosi per agenti di custodia, si fanno consegnare le chiavi
della sua Fiat 127. Più tardi si saprà che hanno sbagliato strada e si dirigono verso il centro storico, perdendo così
minuti preziosi ai fini della fuga.
Qui si rivolgono ad un giovane che sta andando in ospedale a trovare la moglie che sta per partorire. Minacciandolo,
si fanno accompagnare fuori città e poi lo scaricano. Arrivati a Montagna Grande (località tra Fulgatore e Segesta)
dopo essersi disfatti della 127 buttandola in un crepaccio, bloccano una campagnola delle Guardie Forestali e se la
fanno consegnare dopo avere esploso una raffica di mitra a scopo intimidatorio.
Si scatena la caccia agli evasi anche con l'ausilio di elicotteri e unità cinofile. Giunge la notizia che la campagnola è
stata abbandonata nel centro di Salemi. A bordo dell'auto, gli evasi hanno lasciato il mitra e i due caricatori.
Poco dopo le 15.00 una pattuglia di agenti della PS rintraccia i 4 evasi dentro il cimitero di Salemi, dopo che la loro
presenza era stata segnalata dall'elicottero del Colonnello Materiale Comandante della Legione Carabinieri che li
aveva avvistati mentre si aggiravano tra le tombe. Si arrenderanno senza battere ciglio.