Page 10 - LA_GUERRA_DEL_TONNO
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OUTSIDERNEWS
la prima testata indipendente ad assetto variabile
Negli ultimi anni, il business è diventato addirittura una delle priorità di Cosa nostra
siciliana.
Le procure di Roma e Caltanissetta hanno scoperto che Salvatore Rinzivillo,
originario di Gela trasferitosi nella Capitale, puntava al controllo del mercato del pesce in
Sicilia e nel centro Italia. Un pranzo con i figli del boss palermitano Giuseppe Guttadauro
(suo fratello Filippo è cognato del superlatitante Matteo Messina Denaro) battezzò il piano.
Parliamo di aristocrazia mafiosa: negli anni Ottanta, Giuseppe Guttadauro era aiuto
primario della Chirurgia dell’Ospedale Civico e capomafia del clan di Brancaccio; ora, i due
figli (Filippo e Francesco, quest’ultimo già condannato per associazione mafiosa)
gestiscono delle aziende in Marocco che si occupano di esportazione di pesce. I poliziotti
della squadra mobile di Caltanissetta e i finanzieri del Gico di Roma intercettarono anche
un altro pranzo importante, a Milano. I commensali parlavano di “documenti” per definire
alcune pratiche societarie. E neanche si nascondevano poi tanto.
“Tu devi pensare che a Gela hai una famiglia tu. E io ho una famiglia là. Fra noialtri
non ci deve essere né mio né tuo“.
Ecco la mafia che si riorganizza, al di là dei clan e trasformando il pesce del
Mediterraneo in oro. E il tonno è la grande occasione che i padrini non vogliono lasciarsi
sfuggire.
All’inizio degli anni Novanta, erano i clan Trapanesi a immaginare grandi affari
sull’asse Malta-Sicilia. Progettavano l’importazione di pesce “per miliardi di lire”, così
almeno dicevano nelle intercettazioni. Una strana storia quella, mai del tutto chiarita. Che,
per certo, portava ad alcuni colletti bianchi su cui aveva indagato il commissario Rino
Germanà, che, il 14 settembre 1992, i boss più sanguinari di Cosa nostra provarono ad
uccidere. Quel giorno, sul lungomare di Mazara del Vallo, c’erano Leoluca Bagarella, il
cognato di Riina, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, quest’ultimo è ancora
oggi ricercato. Erano i mesi della “mattanza”, così li chiamava il capo dei capi, Salvatore
Riina, intercettato in carcere qualche anno fa. “Il giudice Falcone voleva vedere la
mattanza a Favignana, ma la mattanza gliel’ho fatta io”, diceva al compagno dell’ora
d’aria. Poi, il boss se la prendeva con il pm dell’inchiesta “Trattativa Stato-mafia”, Nino Di
Matteo: “Gli faccio fare la fine del tonno, come a Falcone”. Riferimenti macabri. La cultura
mafiosa, che si alimenta di sangue e affari, ha sempre provato a fagocitare la Sicilia, con i
suoi simboli e la sua storia.
Ma anche sul fronte del pesce tanti uomini si sono ribellati.
L’ultima sfida, a Porticello, dove alcuni anni fa era sorto un vero e proprio mercato
ittico illegale: un gruppo di pescatori ha denunciato e sono intervenuti i carabinieri.
Cosa mangiamo
Conviene fare un’ultima domanda. Cosa arriva sulle nostre tavole? Che tonno
mangiamo? È prevalentemente tonno a pinna gialla pescato in mari lontanissimi. Il
pregiato tonno rosso del Mediterraneo sui banchi delle pescherie si trova solo d’estate e
una grossa quota è pescata illegalmente con rischi per la salute legati all’istamina.
Le frodi riguardano anche la vendita di tonno decongelato venduto come
fosse fresco. “Possiamo pagare a caro prezzo per un prodotto che non è quello che
pensiamo di acquistare”.
Dunque, che cosa stiamo mangiando quando nel nostro piatto c’è il tonno? Spesso
è un tonno congelato e decongelato più volte, pescato in mari lontanissimi, che potrebbe
essersi rifatto il trucco. E il tonno in scatola, che in Italia occupa una grossa fetta di
mercato?