Page 5 - LA_GUERRA_DEL_TONNO
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OUTSIDERNEWS
la prima testata indipendente ad assetto variabile
spingersi fino a Favignana, dove, a sentire Salvatore Spataro, l’ultimo rais, il tonno è nel
destino di chiunque nasca sull’isola.
Il rais se la prende con le quote. Con quelle 32 tonnellate annue assegnate a
Favignana che non permetterebbero nemmeno di rientrare delle spese. È Filippo Amodeo
a fare i conti: nel 2019, per gettare le reti sono stati spesi 800mila euro, che sono stati
appena coperti dal pescato. Zero utili. Amodeo è il nipote di Nino Castiglione, che gestì la
tonnara di Favignana dal 1985 al 1997 per poi rientrare nel 2017 scongiurando il rischio
che quello che era stato lo stabilimento dei Florio fosse cancellato dall’elenco delle
tonnare fisse autorizzate, come accade dopo dieci anni di inattività. Amodeo oggi, con
cugini e fratelli, guida un’azienda, la Nino Castiglione, che a Trapani inscatola e
distribuisce tonno in tutto il mondo fatturando 100 milioni di euro. Tonno pinna gialla, però,
dunque di provenienza oceanica. Un paradosso per un figlio di Favignana sotto i cui
occhi passano banchi da migliaia di tonni.
“Per garantire la sostenibilità economica della tonnara di Favignana – dice Amodeo
– dovrebbero assegnarci una quota di almeno 80-90 tonnellate. E, soprattutto,
comunicarcelo con anticipo. L’anno scorso abbiamo saputo che avevamo 30 tonnellate l’8
maggio, alla vigilia della calata delle reti. Si pesca tra maggio e giugno ma una tonnara
deve cominciare a prepararsi almeno sei mesi prima“.
Le due isole rivali
La storia delle quote, nate per salvaguardare la specie, racconta che alle tonnare
fisse italiane ne spettino l’8 per cento, con un incremento del 20 per cento ogni tre anni. E
che di tonnare fisse autorizzate in Italia ce ne siano cinque. Favignana, in Sicilia. E
quattro in Sardegna: Cala Vinagra e Isola Piana a Carloforte, Capo Altano a Portoscuso e
Porto Paglia, che si dividono 403 tonnellate di pescato.
Sulle loro ragioni torneremo tra poco. Intanto, addentriamoci ancora a Favignana.
Nello stabilimento oggi c’è solo Giuseppe Giangrasso, 85 anni, “Peppe nnue” (Peppe
due) per gli isolani, una vita intera dentro alla tonnara: prima da addetto a sgozzare i tonni
che le barche portavano a terra e oggi guardiano di quello che ormai è un museo. “Vorrei
che la tonnara tornasse a vivere come quando ero ragazzo”. Lo stabilimento allora era il
cuore dell’isola, con centinaia di operai, come racconta “Peppe nnue” mostrando prima gli
spogliatoi maschili e femminili, quindi i grossi ganci ai quali i tonni venivano appesi
un’intera notte a dissanguare, e infine la zona dell’inscatolamento.
In quegli anni, a Favignana, il tonno era ovunque.
Maria Guccione, 83 anni, isolana e attivista di Italia Nostra, ex assessora
all’Ambiente, ricorda che da bambina vedeva gli spazzini usare le scope fatte con le code
dei tonni. Perché “del tonno non si butta niente”, dice. E parla di “business”, ma anche di
“interessi”. Di un trattamento di favore alle tonnare sarde “che si prendono tutto”. “Chi
vuole far morire la tonnara di Favignana? Con il tonno, qui, potremmo vivere e creare
posti di lavoro”.
Come lei, la pensa tutta l’isola, compreso il sindaco Giuseppe Pagoto.
Recentemente finito in un’indagine per corruzione, nel 2017 pubblicò il bando per
consentire alla ditta Castiglione di riprendersi la tonnara e scongiurare la cancellazione
dell’impianto. Eppure, Favignana, poco più di 4mila abitanti, nell’estate breve del Covid