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Le Aree Marine Protette tra retorica e realtà.
Il turismo e la nuova identità iconica e metropolitana delle AMP italiane
di Marxiano Melotti*

Problemi metodologici
Le Aree Marine Protette, il cui numero complessivo si avvia rapidamente alla trentina, con una storia in
alcuni casi ormai ventennale, costituiscono una realtà che può essere considerata ormai ben consolidata
all’interno delle politiche culturali e ambientali del nostro Paese. Sembra quindi non solo incomprensibile, ma
allarmante la mancanza di studi sistematici sul loro impatto socio-economico e socio-culturale. Le ricerche
sin qui condotte, anche quelle di buona qualità, per una molteplicità di motivi risultano di fatto parziali e, se
pur riescono talvolta a fotografare l’effetto dell’Area sul territorio e sulla comunità locale, difficilmente
permettono valutazioni di più ampio respiro.
Ciò si deve innanzi tutto alla mancanza di dati omogenei e di indicatori adeguati e, in secondo luogo, al tipo
prevalente delle ricerche condotte, che presentano un’impostazione tendenzialmente localistica e che solo
raramente sono riproposte con la periodicità necessaria a rilevare i cambiamenti e l’evoluzione delle
eventuali criticità individuate. La focalizzazione su scala locale degli interessi dei ricercatori e spesso anche
dei committenti pubblici e il carattere prevalentemente non sistematico delle ricerche rendono difficile ogni
valutazione scientifica complessiva di carattere comparato e diacronico.
Tale difficoltà appare paradossale, dato l’alto numero di progetti finanziati tendenzialmente orientati alla
valorizzazione del territorio e quindi necessariamente implicanti anche rilevazioni di carattere socio-
economico o, per lo meno, semplici osservazioni di fenomeni e problematicità. In sintesi, le rilevazioni di
carattere accademico hanno un’impostazione scientifica, ma non appaiono omogenee e, anche per la
decrescente disponibilità di risorse, non sono riproposte con sistematicità. Per di più i gruppi di ricerca
raramente condividono metodologie e risultati con altri gruppi.
D’altra parte la maggior parte degli interventi mirati proposti dalle stesse Aree o dalle amministrazioni locali,
anche quando si avvalgono di consulenze professionali o accademiche, non presentano un’adeguata
impostazione scientifica e portano a risultati che, per essere utilizzati, andrebbero convalidati da controlli sul
territorio o addirittura da nuove ricerche. In altre parole, risulta difficile condurre ricerche sul campo in
contesti in cui ogni dato pregresso per essere utilizzato dovrebbe essere nuovamente controllato o in cui si
dovrebbe controllare l’effettiva consistenza, se non l’esistenza stessa, dei fenomeni assunti come esistenti.
Per fare un esempio, l’interpretazione di un fenomeno turistico, così come il giudizio sull’efficacia di una
politica locale, varia notevolmente in relazione con determinati eventi o pratiche, come la reale esistenza di
percorsi protetti per ipovedenti o di musei sommersi.
Il riscontro dell’esistenza effettiva e della funzionalità reale di strutture e offerte è quindi condizione
necessaria di ogni ricerca. In un sistema che, a un controllo incrociato dei dati o anche semplicemente
casuale, si rivela inaffidabile, diventa insomma prioritaria la verifica di ogni informazione di base con un
aggravio dei costi, che, in definitiva, porta a una disincentivazione delle rilevazioni o a una loro ulteriore
localizzazione.
Alla difficoltà nella raccolta di dati quantitativi che siano utilizzabili per una rilevazione scientifica si aggiunge
la normale difficoltà nella raccolta dei dati qualitativi, che pure risultano spesso necessari per una corretta
definizione e interpretazione dei fenomeni.
Tale accostamento, in gran parte di impronta antropologica, richiede necessariamente interventi sul campo –
per loro natura costosi – con interviste a testimoni privilegiati, portatori di interesse e altri attori delle realtà
studiate, nonché attività di osservazione partecipata.
Il presente contesto culturale invita però a integrare questo tipo di rilevazione, di fatto di carattere
tradizionale, con uno studio, sempre di tipo socio-antropologico e in gran parte qualitativo e interpretativo,
delle strategie di comunicazione adottate e delle forme di rappresentazione mediatica delle AMP. In
presenza di osservazioni sul campo, ciò permette da un lato di misurare il divario tra realtà e
rappresentazione, offrendo elementi importanti per la valutazione delle politiche di gestione adottate,
dall’altro di individuare gli elementi strategici su cui amministrazioni e comunità locali cercano di costruire
l’immagine della propria AMP con effetti che incidono sulla sua percezione collettiva e quindi anche, a livello
locale, sul suo rapporto col territorio.
Monitorando inoltre l’evoluzione di tali strategie comunicative e delle forme di rappresentazione mediatica, è
possibile misurare o per lo meno valutare, in maniera relativamente semplice, il rapporto tra identità locale e
processi culturali nazionali o globali. La scelta, per fare un esempio, della Riserva delle Egadi di presentare
sull’home page del proprio sito web l’immagine di una giovane donna senza reggiseno che nuota sott’acqua
risponde all’accettazione culturale di una generale sessualizzazione della società e del marketing che finisce
per emarginare tanto l’identità costitutiva di un’area marina quale spazio di protezione ambientale quanto la

* Università degli Studi di Milano Bicocca e Università delle Scienze Umane Niccolò Cusano

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