Page 2 - Melotti-2009
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specificità naturale e culturale del territorio. Accanto all’immagine campeggia la scritta “Arcipelago di
seduzione”, che definisce e conferma la nuova identità immateriale e turistica dell’area protetta. Tuttavia il
semplice fatto che questa immagine, con un processo decisionale dell’ente gestore, condiviso di fatto dalle
amministrazioni locali, sia stata scelta per rappresentarne una, mostra che l’identità delle AMP risponde a
nuove logiche e riflette non solo un nuovo immaginario, ma anche nuove pratiche politiche.
D’altra parte anche da questo esempio si può evincere la piena integrazione delle AMP nell’immaginario
collettivo. Ciò induce a considerarle, indipendentemente dalle rispettive specificità, delle realtà non isolate e
non isolabili dagli orientamenti culturali e dalle evoluzioni socio-economiche nazionali, nonché da ogni
espressione delle politiche locali.
Non è insomma più possibile valutare un’AMP solo sulla base del tipo di politiche ambientali e del loro
impatto socio-economico sul territorio. La tutela ambientale, con il suo effetto sulla pesca e il turismo, è solo
uno dei molteplici aspetti nei quali le Aree vengono ormai coinvolte dalle scelte degli enti gestori e dalle
politiche delle amministrazioni locali.
Una nuova cultura implica non solo nuove pratiche, ma anche un nuovo ruolo per l’istituzione. Tali
cambiamenti a loro volta implicano non tanto nuove metodologie di analisi quanto un nuovo e diverso
accostamento metodologico.

Il turismo e il nuovo ruolo culturale delle AMP
Le AMP, nate essenzialmente con mission di tutela ambientale, studio e valorizzazione anche didattica delle
risorse naturali, nel corso degli anni ’90 hanno finito per cristallizzarsi in santuari della natura, rispondendo a
logiche di carattere antituristico. Lo spirito del proibire per proteggere, implementato dalle prime politiche
ambientalistiche di governo, ha finito per creare equivoci e conflitti con le comunità locali, legati soprattutto ai
divieti di accesso, balneabilità, pesca e navigazione. Ciò ha suscito inevitabili resistenze.
L’impostazione costitutivamente non turistica delle Aree ha contribuito a determinare un divario tra enti
gestori, comunità locali e altri possibili fruitori del territorio. Il turismo, in particolare, è stato letto come una
presenza “innaturale”, estranea, inutile e di fatto dannosa. L’orientamento prevalentemente biologistico delle
Aree si è riflesso anche nella composizione dei comitati di gestione e dei gruppi di ricerca.
L’attenzione agli aspetti sociologici e, in particolare di sociologia del territorio e del turismo, è piuttosto
recente. Ciò però va addebitato, almeno in parte, all’impostazione scientifica degli studi di sociologia del
territorio, che si sono prevalentemente interessati delle realtà urbane e delle problematiche ambientali e, se
mai, soprattutto nella loro fase iniziale, dei parchi terrestri. Restava in ogni caso esclusa la sociologia del
turismo, che in Italia ha cominciato a definirsi come disciplina almeno in parte autonoma proprio nel corso di
quel decennio, peraltro orientandosi verso altri settori. Di fatto il contributo sociologico si è concentrato sugli
aspetti di carattere economico.
Nel frattempo la relazione tra turismo e aree protette si è sviluppata seguendo paradossalmente il principio
che i biologi marini chiamano “effetto-parco”. Allo stesso modo in cui l’interdizione alla pesca e alla
navigazione contribuisce all’incremento della popolazione ittica e finisce per richiamare sul limitare dell’area
interdetta vaste comunità di pescatori, così la demarcazione di un’area protetta taglia la continuità del
territorio e individua uno spazio speciale che, proprio per la sua alterità, si pone come spazio potenzialmente
turistico. Secondo un principio ben studiato dall’antropologia del turismo, la barriera che definisce uno spazio
altro, di carattere naturale e quindi estraneo alle logiche del consumismo e in genere dell’uso urbano, e
contrapposto allo spazio della quotidianità, ma culturalizzato, consumistico e urbanizzato, genera turismo.
Da questo punto di vista l’ecologismo degli anni ’80, così come il più ampio processo di secolarizzazione in
atto sino alla fine del ’900, è sfociato in forme di culto della natura come nuova religione o, in genere, di
sacralizzazione dello spazio naturale, presente nel concetto stesso di “santuario” della natura. D’altra parte,
anche in una semplice logica di tutela, è il processo stesso di musealizzazione dello spazio naturale a
gettare le basi per un processo d’inattesa turisticizzazione. Da un punto di vista puramente teorico,
l’operazione stessa di identificazione e di perimetrazione di un’AMP presenta una connotazione di carattere
ideologico, o inizialmente percepita come tale dalle comunità locali, dal momento che interrompe la
continuità di uno spazio di fatto quasi sempre antropizzato per individuare uno spazio speciale sulla base di
criteri che, per quanto scientifici, appaiono astratti e sempre suscettibili di discussione.
In realtà le AMP nascono già in origine come spazi di autenticità rappresentata, che risultano speciali per
effetto di una scelta ideologica o politica e non tanto per il loro effettivo contenuto. Molte AMP hanno quindi
costitutivamente una natura iconica, cioè basata su un’immagine, astratta e costruita mediaticamente, di
conservazione del paesaggio e del mare. Proprio tale loro iconicità risponde alle esigenze immateriali della
cultura dell’ultimo decennio, che sta alla base del nuovo successo delle AMP, di carattere non più soltanto
turistico, ma anche mediatico e politico.
Il turismo degli anni ’80 permetteva ancora una bipartizione credibile tra pratiche di massa e pratiche di élite.
Il turismo naturalistico rientrava appieno nelle forme del turismo elitistico, cresciuto intorno allo sviluppo di
una nuova sensibilità ecologica, poi sfociata nella teorizzazione di una cultura slow. I parchi nazionali
terrestri e l’autenticità primitivistica di alcuni contesti mediterranei ed extraeuropei costituivano lo spazio
speciale per questo ecoturismo degli anni ’80 e ’90.

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