Page 3 - Melotti-2009
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In Italia l’apparizione tardiva delle AMP ha tuttavia permesso di avviarne il percorso in un contesto di relativa
disattenzione da parte dei possibili fruitori. Del resto le prime Aree – Miramare (Trieste), Ustica (Palermo),
Tremiti (Foggia) e Ciclopi (Catania) – avevano caratteristiche così eterogenee che impedivano di percepirle
quali parti di un sistema. Miramare e Ciclopi si configuravano come piccole aree atte alla ricerca, situate in
zone peri-urbane allora marginali nei processi turistici, mentre Ustica e Tremiti, pur essendo spazi già avviati
alla turisticizzazione, erano ancora mete di flussi marginali. Lo stesso può dirsi per l’ondata successiva.
Torre Guaceto (Brindisi), Capo Rizzuto (Crotone) ed Egadi (Trapani) erano inserite in più ampi sistemi
turistici tradizionali, in cui la presenza di un’Area Protetta non noceva al territorio né incentivava il suo
turismo. Da questo punto di vista nella vita delle aree protette il turismo non ha rappresentato una variabile
significativa, da sottoporre a indagini specifiche, e gli enti gestori hanno potuto accogliere gli orientamenti
prevalentemente biologistici e antituristici di amministrazioni e consulenti accademici.
Il cospicuo numero di riconoscimenti del periodo 1997-1999 segna invece un cambiamento. Le Aree,
ancorché non organizzate in tal modo, iniziano a presentarsi come un potenziale sistema e, per la loro
numerosità, a interagire con i processi turistici del territorio, cominciando a intercettare il turismo slow. In
Liguria e Sardegna lo spazio speciale dell’Area, se non vi è addirittura inserito, viene a trovarsi
spontaneamente contiguo ai luoghi di villeggiatura tradizionali dell’ecoturismo di élite, che, senza doverle
andare a cercare lontano, si ritrova delle aree protette in certe sue mete tradizionali.
Il numero stesso delle nuove aree marine, con il decennio di ritardo necessario a ogni istituzione statuale per
metabolizzare le nuove tendenze culturali e politiche, indica l’avvenuto consolidamento dell’ambientalismo
nella società italiana. La presenza di un numero considerevole di aree protette, relativamente ben distribuite
sul territorio, crea i presupposti per intercettare, finalmente in anticipo, le tendenze culturali del nuovo
iperturismo, ossia delle forme più sofisticate di turismo dell’autenticità e di tipo esperienziale.
Nell’ultimo decennio le AMP divengono così spazi speciali del nuovo iperturismo. Questa trasformazione,
che si accompagna a un superamento non solo del turismo di massa, ma anche dell’ecoturismo tradizionale,
deve diventare oggetto di studi scientifici specifici. Parallelamente, grazie al radicamento della cultura slow,
si consolida, anche nell’impostazione politica delle grandi istituzioni culturali, l’esigenza di una valorizzazione
degli aspetti immateriali del territorio. Tradizioni e feste locali, cultura del lavoro, enogastronomia diventano
così gradualmente parole d’ordine per l’avvio di qualsiasi iniziativa turistica che aspiri a qualche successo. È
l’Italia dei festivals che cresce all’insegna di motti come “saperi e sapori” del territorio.
Questa nuova visione culturale dell’identità locale viene intercettata dall’Unesco, che comincia a dedicare
maggiore attenzione a ciò che viene definito come patrimonio immateriale dell’umanità, rinnovando il suo
tradizionale orientamento storico e monumentale in materia. La Convenzione per la salvaguardia del
Patrimonio Culturale Immateriale, approvata nel 2003 (a conclusione di un lungo percorso avviato già alla
fine degli anni ’80), è stata ratificata dall’Italia nel 2007.
Nella stessa logica il protocollo ASPIM (Area Specialmente Protetta d’Importanza Mediterranea), definito
dalla Convenzione internazionale di Barcellona del 1995, ma entrato nel dibattito scientifico e politico italiano
molto più recentemente, ha rinnovato l’idea tradizionale di area protetta: un’area può essere considerata
“speciale”, meritevole quindi anche di una protezione e di un sostegno particolari, quando sia in grado di
rappresentare un’identità mediterranea. Si tratta di un’impostazione perfettamente in linea con i nuovi
orientamenti culturali, tendenti, almeno nelle intenzioni, a valorizzare gli aspetti immateriali. Nell’ottica
ASPIM uno spazio è meritevole di attenzione speciale non solo quando sia caratterizzato da un interessante
patrimonio ambientale, rappresentativo della biodiversità mediterranea e configurabile quale ecosistema
specifico del Mediterraneo, ma anche quando conservi uno specifico patrimonio paesaggistico, storico e
culturale. Con questa impostazione le aree protette avrebbero ingloba in un sol colpo tanto la cultura World
Heritage di tipo monumentale quanto quella di tipo “intangibile”. Nella sua concreta applicazione, però, il
protocollo ha accolto solo in parte l’esigenza di un superamento dell’impostazione prevalentemente
biologistica delle aree protette. Sinora in Italia hanno ottenuto tale riconoscimento il Santuario dei Cetacei
(nel 2001), una vasta area di mare internazionale (tra Italia, Francia e Principato di Monaco) compresa tra
Liguria, Costa Azzurra, Corsica e Sardegna; Portofino (nel 2005); e infine, grazie anche a una valutazione
del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (Conisma) cui ha preso parte chi scrive,
Miramare, Plemmirio, Tavolara e Torre Guaceto (tutte nel 2008, segno del crescente interesse nazionale per
queste politiche di marchi d’area).
La logica che sta alla base del protocollo ASPIM, indipendentemente dalla sua attuazione, ben riflette la
trasformazione del ruolo delle AMP e la nuova diffusa esigenza di un’attenzione agli aspetti iconici e
immateriali. Al di là di un possibile riconoscimento istituzionale di un’AMP come ASPIM, ogni area protetta è
di fatto inserita in un processo locale di valorizzazione del territorio basato sull’ipervalutazione degli aspetti
immateriali, non di rado presentati come espressione di una vera o pretesa identità mediterranea.
Del resto anche i curatori del progetto MEI-Italia, ancorché non orientati a individuare il rapporto tra AMP e
nuovi trends culturali, suggeriscono di allineare le AMP italiane alla categoria V della nuova formulazione
della classificazione internazionale IUCN-WCMC (International Union for Conservation of Nature e World
Conservation Monitoring Centre) proposta nel 2007 nel workshop di Almeria dell’IUCN. Le AMP verrebbero
ridefinite come “aree per la conservazione di paesaggi culturali” con “continuità di usi tradizionali” associati
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