Page 14 - Melotti-2009
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sono piuttosto tradizionali, ma nel ruolo che l’AMP può svolgere nel territorio, quale istituzione di riferimento
cui, più della scuola e dell’amministrazione pubblica, si lega il futuro della comunità. Tale fiducia, a tratti
eccessiva, nell’autorità morale dell’AMP, finisce per rivelare un aspetto retorico (e inutilmente auto-elogiativo
in un’analisi di carattere sociologico) nel riferimento a una cultura “saggia” di cui Tavolara sarebbe portatrice,
in contrapposizione ai valori correnti della società (p. 31).
Il lavoro rileva l’elevata antropizzazione dell’Area e si orienta correttamente al riconoscimento
dell’importanza degli interessi turistici. Si evince però un imbarazzo di fondo, che può essere utile mettere in
rilievo perché plausibilmente condiviso da operatori di altre Aree. Il turismo viene riconosciuto come attore
primario e la ricerca ne rileva l’insostituibilità, al punto che sembra persino mirare a ridefinire sulla sua base il
ruolo e gli obiettivi dell’Area. Prevale però un’impostazione conservatrice, in cui il turismo, interpretato in una
superata logica dicotomica che contrappone massa ed élite, torna a configurarsi come un elemento
negativo. L’analisi finisce così per tendere retoricamente verso canali più tradizionali, con richiami pur
opportuni alle ragioni della sostenibilità e della conservazione ambientale. Ciò stride, però, con lo stato di
effettiva tutela del territorio. Nel caso del Parco delle Cinque Terre (con cui, come si è detto, Tavolara opera
in rete) non si rilevano infatti particolari interventi di regolazione dei flussi turistici. Il numero di imbarcazioni a
Tavolara è di fatto incontrollato, come il numero dei visitatori sui sentieri costieri delle Cinque Terre.
Tale imbarazzo sembra riflettere un’immagine in parte sfocata dei cambiamenti socio-culturali più recenti,
legata a un’idea erronea del post-moderno. In tal senso è significativa la similitudine richiamata dai curatori:
un fondale ricco di biodiversità costituirebbe una risorsa preziosa per l’intera comunità, così come il profumo
Chanel n. 5 o la scarpa Nike, che si differenzierebbero dalla “massa” dei profumi e delle scarpe perché
“unici” (p. 71). In realtà si tratta di prodotti seriali di massa, presentati come speciali e supportati da un brand
forte che ne definisce l’iconicità. L’elemento che attrae non è l’oggetto in sé, ma il brand, ossia la sua
proiezione iconica e immateriale costruita con un’operazione di marketing, che lo inserisce nell’immaginario
collettivo e nel suo sistema valoriale. La biodiversità del fondale rappresenta naturalmente una risorsa, ma
non ha di per sé la forza iconica dei due prodotti citati. Per diventare un attrattore di turismo deve acquisire
iconicità ed essere sostenuta da un’operazione di marketing o da un brand che, per l’appunto, può essere
costituito da un’AMP. Questa è post-modernità.
Da questo punto di vista appare davvero importante disporre di un indicatore d’iconicità che, misurando il
rapporto tra rappresentazione, percezione e realtà, possa correttamente collocare territorio e fruitori nelle
complesse dinamiche socio-culturali della contemporaneità.

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