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202                       X. 9. La musica di tradizione orale




            clamando un’invocazione all’Angelo e alla Madonna e rivolgendo una serie di inci-
            tazioni ai muli (chiamati per nome). Queste espressioni sono metricamente irregolari
            ma la sequenza si chiude con un distico a rima baciata dove si allude al momento
            conclusivo del lavoro: la spagliata (la separazione del frumento dalla paglia effettuata
            lanciando il prodotto verso l’alto per sfruttare l’effetto del vento):


                                                            Esecuzione: Giovanni Silvio.
                                                 Rilevamento: S. Bonanzinga e G. Moroni;
                                                           Calamònaci (AG), 22/06/1992.
               E ttrasi cu ll’Àncilu e nnesci cu Mmaria, Bbàiu!
               E cchiana e bbatti c’am’a ttagliari, mulu!
               E dduna sti canti canti ca cc’è ll’Àncilu santu c’aiuta a ttia e a mmia, Bbàiu!
               Allegra e ccuntenta â stari, gran mula!
               Cchiana e bbatti, sciarda e mmancia, mulu massaru!
               Forza mulu, dàmuci lu tempu a lu cumpagnu!
               E ffàcciati davanti, Baggianu!
               Tàglia e rritàglia c’am’a ffari pàglia,
               po veni lu ventu e ssi la pìglia!


               Molte altre attività connesse ai cicli agrari prevedevano l’esecuzione di canti per
            coordinare e alleviare il lavoro di gruppo o per ritmare azioni specifiche. Si cantava du-
            rante il raccolto delle mandorle, delle olive e specialmente dell’uva. Nel circondario di
            Messina, il trasporto delle ceste durante la vendemmia si usava addirittura ritmare con
            un tipico canto accompagnato dalla ciaramedda a pparu (zampogna “a paro”, perché
            le due canne melodiche sono di eguale misura). A San Filippo Superiore, un piccolo
            borgo situato alle pendici dei Peloritani (frazione di Messina), i contadini anziani ri-
            cordano con precisione come si svolgeva questa fase del lavoro fino al 1963-64. Il suo-
            natore di zampogna (ciaramiddaru), retribuito alla stregua degli altri vendemmiatori,
            apriva la fila della ggiumma (ciurma), composta da quindici-venti uomini. Questi tra-
            sportavano il prodotto nei còfini (o còfuni), ceste di vimini e canne intrecciate della ca-
            pacità di circa ottanta chili. L’itinerario da percorrere era lungo e impervio, poiché dai
            vigneti sparsi nella campagna si dovevano raggiungere i palmenti (pammenti) situati
            nel centro abitato. I contadini procedevano quindi in fila lungo i disagevoli sentieri col-
            linari, con lo zampognaro in testa seguito dal capu-ggiumma. Durante il tragitto si can-
            tava â cofunara (o cofinara), cioè alla maniera dei portatori di còfini. Il canto, più volte
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