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X. 9. La musica di tradizione orale          205




            principali – non mancava l’opportunità di eseguire canzuni a voce solista, con accom-
            pagnamento di scacciapensieri oppure in coro.
               Altra occasione di canto erano gli usuali incontri in taverna che scandivano la dif-
            ficile esisenza degli zolfatai. I testi erano spesso veri e propri “lamenti” per le dispe-
            rate condizioni della vita in miniera, di frequente rappresentata come “inferno” sulla
            Terra (come recita il canto trascritto da Favara). Ma i surfarara nondimeno condivi-
            devano il repertorio delle canzuni dei contadini e dei carrettieri, da cui hanno sostan-
            zialmente mutuato anche i moduli melodici e gli stili esecutivi, a conferma
            dell’omogeneità socioculturale dei tre gruppi professionali. Riporto per esemplifica-
            zione il canto a la surfarara (al modo degli zolfatai) con accompagnamento di scac-
            ciapensieri registrato nel 1954 da Alan Lomax e Diego Carpitella. Si tratta di un
            esempio emblematico di compianto per la solitudine e l’avvilimento patiti dal mina-
            tore: dimenticato da tutti e di tutti dimentico, perfino dei “santi”, ma non dell’amata,
            unico spiraglio di vita in tanta desolazione:

                                Esecuzione: Rocco Meli (voce), Elio Perconte (scacciapensieri).
                                                Rilevamento: Sommatino (CL), 06/07/1954.
                                             Edizione: Carpitella/Lomax cd.2000 (traccia 5).
                  (a) Mi scuordu, mi scurdà, scurdatu sugnu,
                  mi scuordu di la stessa vita mia.
                  Mi scurdavu lu bbeni (e) ddi ma mamma,
                  era cchiù dduci, cchiù mmègliu di tia.
                  Mi scurdavu lu bbeni (e) ddi ma patri,
                  passa lu mari tri bboti pi mmia.
                  Mi scurdavu ll’amici poi a mme frati,
                  di li santi mi scuordu e nno di tia.


               L’estrazione del gesso si svolgeva invece a cielo aperto, staccando il materiale
            dalle pareti con l’uso dell’esplosivo. I blocchi di pietra si trasportavano quindi dalle
            cave alle fornaci (carcari), per essere dopo la cottura frantumati e macinati. Questa
            operazione, denominata mmaccata (o mazziata), era condotta da almeno due operai
            che coordinavano la loro azione per mezzo del canto a la issara (alla maniera dei
            gessai). La produzione del gesso mediante questa tecnica è cessata negli anni Sessanta
            del secolo scorso ma a Raffadali ho potuto documentare una ricostruzione che ha per-
            messo di comprendere con precisione come il canto fosse associato alla dinamica
            dell’azione. Uno dei due gessai, la prima mazza, si incaricava di guidare il ritmo in-
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