Page 4 - daSCaterina_allaColombaiarid
P. 4

Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

permutata nella perpetua detenzione entro quell'ergastolo, donde uscì per immeritata fortuna, tosto che fu in Firenze
conchiusa la pace tra la Francia ed il Re di Napoli.
Quando noi tre vi giungemmo, trovammo dentro quella fossa, due altri prigionieri, un cotal Tucci, novello Cagliostro, e
quel tenente Aprile di Caltagirone, il quale era fuggito da Castel Sant'Elmo col Conte di Ruvo, Ettore Carafa9, nel
1798.
Scendemmo nella fossa per via di una scala mobile di legno. La fossa era incurvata molto verso le due estremità, in
modo che appena nel mezzo di essa potevasi stare in piedi. Era poi così oscura da non potervisi leggere neppure in
pieno meriggio, e facea mestieri tenervi sempre una lampada accesa. E siccome la bocca della fossa non si poteva
chiudere con porta di legno, atteso che avremmo potuto morir soffocati per mancanza d'aria, così avveniva che la
pioggia vi cadeva e l'umidità vi produceva tant'insetti che il Tucci e l'Aprile ne noverarono fino a 22 specie diverse.
Giacevamo sopra un materasso recato con noi da Palermo, ed essendo cinque persone ivi rinchiuse, la respirazione
diveniva tanto difficile che il Rodinò e il Ricciardi subito vennero meno e si riebbero non senza pena. (...)
Il Ricciardi voltossi contro di me dicendo ch'io attirava a tutti punizioni più severe, come se fosse stato possibile a'
nostri tiranni inventarne maggiori di quelle che già pativamo. Oh, come tutto è relativo nella vita umana! (...) Come
mai, dicevo fra me stesso, può l'uomo dirsi infelice quando è in poter suo il respirare l'aria libera e il volgere dei suoi
passi ove più gli aggrada?
Uno dei condannati ai ferri che era nel castello, calando e montando due volte al giorno, ci recava dell'acqua e
scarso nutrimento, e poi provvedeva alla nostra nettezza.
Il Tucci un giorno asserì che, a tenore di un decreto reale a lui noto, la fossa del Marettimo non poteva servir di
prigione a più di tre condannati e quindi addimandava con vive istanze che fossimo traslocati in altro carcere.
Per nostra buona ventura, il Comandante del Castello era un povero alfiere nativo della Favignana, carico di famiglia
che egli stesso alimentava col suo meschinissimo soldo: fu quindi a noi agevole cosa, mediante una gratificazione
propostagli a nome nostro dal Cappellano del Forte che avea sensi d'umanità, di ottenere scrivesse al suo superiore
in Trapani, per far sì che tre soli di noi avessero a rimanere dentro la fossa.
In seguito di che venne ordine che Gaetano Rodinò ed io fossimo trasferiti in altra fossa nel Castello di Santa
Caterina all'isola di Favignana."

                                                              DELITTO DI STATO?

Nelle orribili prigioni borboniche di Punta Troia, stanchi di soffrire e perchè i Borboni non vollero mai amnistiarli,
furono trucidati, implorando pietà i due cospiratori napoletani: l'avvocato Nicolò Tucci e l'arciprete Vincenzo Guglielmi.
Questi due poveri infelici, nel 1825, per un semplice malinteso, furono scannati a colpi di baionetta dentro la fossa,
dai fratelli favignanesi Carriglio, militari di guardia al Forte, al comando di un certo Pietro Canino, anch'egli di
Favignana.
Una fine orrenda per due patrioti ai più sconosciuti ma degni "fratelli" di Carlo Pisacane e dei fratelli Bandiera.

                                          L'ABOLIZIONE DEL CASTELLO DI PUNTA TROIA

Nel 1844, Ferdinando II°, a bordo di una corvetta eseguì un lungo giro, per ispezionare e controllare, de visu, tutte le
fortezze marittime della Sicilia.
Il monarca, con la sua bella nave, approdò sotto il Forte di Punta Troia e chiamò sotto il suo bordo alcune barche
che pescavano in quei paraggi.
Il Re, nel deplorare il disservizio riscontrato nella fortezza, si abboccò con quei pescatori e chiese loro notizie circa
l'assenza dei militari del Forte.
Gli ingenui pescatori, ignorando di parlare personalmente con Re Ferdinando II°, risposero evasivamente, asserendo
però che tanto il Capoposto quanto i soldati ivi preposti, passavano più tempo in paese a gozzovigliare che al
castello ad adempiere il loro dovere...
Dopo aver preso drastici provvedimenti nei confronti della guarnigione di stanza al Castello, forse addolorato, il Re
proseguì per Favignana, Trapani e Palermo. Giunto a Palermo, accorato per la poco soddisfacente crociera
eseguita, ordinò immediatamente il 29 giugno 1844, l'abolizione del Castello di Punta Troia e lo sgombero della
Reale Chiesa Parrocchiale che era servita per tanti anni a confortare lo spirito di quei poveri condannati politici.
   1   2   3   4   5   6   7   8   9