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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

Per ordine espresso di Ferdinando II, i superstiti della spedizione di Sapri ( Giuseppe Santandrea, Domenico
Porro, Felice Poggi, Gaetano Poggi, Cesare Faridone, Francesco Medusei, Giovanni Camillucci, Cesare Cori,
Domenico Mazzone, Achille Perucci, Giuseppe Faeli, Carlo Rota, Giuseppe Mercuri, Pietro Rusconi, Amilcare
Bonomi ) furono trasportati al Forte di Santa Caterina e chiusi in una fossa scavata nella roccia. Il Nicotera fu messo
in un buco separato, detto "la stanza del somaro", per la puzza che emanava, dove non poteva stare disteso se non
mettendosi a cavalcioni di un fosso posto nel mezzo, pieno di acqua limacciosa, che traboccava anche sul pavimento.
Scorpioni, topi e zanzare a migliaia e buio profondo. Una panca in pietra serviva da giaciglio. Il Nicotera vi stette per
ben cinque mesi, e si ridusse così malconcio che il comandante del forte ed il medico, spaventati per la febbre che lo
consumava, per la tosse e i frequenti sbocchi di sangue, lo scongiurarono di supplicare il Re per la sua liberazione e il
Comandante l'incitò a scrivere la supplica che intestò di sua mano : Alla Sacra Reale Maestà Ferdinando II Re delle
due Sicilie" ma, il Nicotera intestò la supplica "alla belva feroce Ferdinando II, non ancora saturo di tormentare
l'umanità" …e lacerò la carta. Il patriota Nicola Botta anch'esso detenuto insieme al fratello Carlo nella fortezza di
San Giacomo narra che " La vita divenne per il Nicotera insoffribile e malgrado il suo carattere combattivo, la sua
tenace volontà e la fierezza, aveva persino tentato di uccidersi. Dal racconto del farmacista antiborbonico Andrea Li
Volsi apprendiamo che Il medico chirurgo del bagno San Giacomo, Alberto Caligarsia, dopo essere salito per
l'ennesima volta al Forte di Santa Caterina per visitare il Nicotera che si era ammalato di bronchite trovo l'ergastolano
"continuamente travagliato da reumatismo che alla spesso viene accompagnato da febbre". Quindi gli lasciò una
ricetta medica ma il Nicotera strappò una piccola striscia di carta bianca dalla ricetta e vi scrisse un breve messaggio
con il succo di limone. Quando ebbe visita della guardia Scalfida, lo pregò vivamente, lo esortò di consegnare al
farmacista Li Volsi, oltre alla ricetta anche quel pezzo di carta. La guardia, forse vinto dalla compassione si recò dal
farmacista e gli consegnò la striscia di carta. Il Li Volsi, capì che doveva esserci scritto qualcosa con il succo di
limone; quindi ci passò sopra la tintura di iodio e comparve il messaggio, che diceva:

         "Se appartenete alla bandiera della Patria oppressa, vi incombe certamente il dovere di non ricusarmi
         il vostro fraterno aiuto. Ho bisogno di far pervenire una mia lettera al console d'Inghilterra in Trapani
         o Palermo. Volete accogliere le mie preghiere? Gradite i miei ringraziamenti e un saluto dal vostro
         fratello Nicotera". Il farmacista scrisse subito una risposta con una soluzione d'amido, ci aggiunse
         sopra una boccettina di tintura di iodio ed insieme alla medicina la fece recapitare al prigioniero. La
         risposta del farmacista diceva: Mandate quello che volete, chiedete tutto ciò che possa occorrervi,
         fidate interamente nello Scalfida, uomo tutto mio, e nel vostro fratello".

Alcuni giorni dopo il 16 marzo 1859, dopo che un fulmine aveva rotto il tetto della cella, e l'acqua inondato la fossa, la
sentinella tirò fuori il prigioniero e con gli altri, il Nicotera fu letteralmente portato al Forte San Giacomo (visto che non
poteva reggersi in piedi). Anche al San Giacomo gli fu assegnata la peggiore cella: la n.29, dove rimase più di un
anno con la catena ai piedi.
Il n.29 aveva un piccolo cancello rispondente in faccia alla buca ove fu rinchiuso il Botta.
Nei momenti di dolore i 18 condannati politici detenuti nell'orrido carcere di Favignana, non ebbero a conforto che la
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