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Roberto Sottile

in linea con quelle del tipo tìempu di lupi (262 Caltavuturo) ‘condizioni atmosferiche
avverse, con pioggia violenta e forti raffiche di vento’ e siritina di lupi (Caltavuturo)
‘notte buia e tempestosa’. Per ora basti considerare che lupu — assieme a lupinaru —
è termine usato (cfr. VS) anche per evocare il ‘mostro immaginario che si nomina
ai bambini per impaurirli’, oltre che per designare, a Sortino (810, Sr), un vento da
nord-est apportatore di pioggia’ (cfr. § 1.).

    I fenomeni naturali pericolosi, ovviamente dannosi per le colture (come quelli
compresi sotto il nome di mazzamareḍḍu), proprio perché paurosi, sono incubo da
esorcizzare. Per questo a Sclàfani Bagni (261), piccolo centro del palermitano, «tra le
forme rituali non istituzionalizzate, vi era la denunzia del vento da parte di alcune donne
del paese quando esso infuriava pericolosamente. Con grida e lamenti si recavano in
chiesa, ed il parroco faceva suonare le campane, per farlo cessare» (Martinello 2012-
2013). Il carattere residuale di questa pratica, assieme alla reticenza degli informatori
intorno agli argomenti connessi alla sfera magico-religiosa, ha però impedito di ap-
purare il contenuto linguistico di tali grida e lamenti 9. Si sa invece che nelle formule
e nelle orazioni pronunciate dai contadini nel tagghiari a timpesta 10 (Caltavuturo) ricor-
revano frequenti riferimenti a Santa Barbara (Santa Bbàrbara ca lampìa / Santa Bbàrbara
ca ṭṛunìa), mentre la “calamità” tendeva ad essere ricacciata nel caos (unni un c’è ssuli né
lluna) o in fondo al mare:

    timpesta timpistata e ttimpistuna / vatinni a ttimpistiari unni un c’è ssuli né lluna / unni un c’è nnes-
    suna creatura // timpesta timpistata e ttimpistuna / vatinni a ttimpistiari ô funnu di lu mari / unni
    un c’è armali né ccristiani
    Ma i fenomeni atmosferici e soprattutto, ancora una volta, i venti, a causa della
loro significativa incidenza sul destino delle colture, sono eventi da propiziare o,
quantomeno, in una prospettiva protometeorologica, da prevedere. Per questo si era
soliti vattiari i vìentira ‘battezzare i venti’ (Castelbuono), secondo uno schema rituale
all’interno del quale non è difficile riconoscere il consueto sincretismo tra elementi
cristiani e pagani. La sera dell’epifania, dopo che in chiesa (alla fine del rito del bat-
tesimo del bambinello) l’arciprete aveva vanniatu i festi di l’annu (aveva cioè elencato le
feste comandate dell’anno appena entrato), alcuni uomini, riconosciuti come parti-
colarmente destri in questa pratica, si trasferivano su una collinetta ventosa, ô cùozzu

    9  È certo che a Caltavuturo, centro appartenente alla stessa microarea di Sclàfani Bagni, le donne “dove-

vano” trattenere il prete per la talare mentre questi suonava le campane. E ciò non tanto perché il forte vento
se lo sarebbe altrimenti portato, ma perché questi fenomeni, a detta degli informatori, sono provocati da esseri
malefici che sono nell’aria (folletti, diavoli?) in balia dei quali sarebbe finito il prete se le donne non lo avessero
tenuto (un’informatrice riferisce di aver sentito — ma non visto di persona — che durante uno di questi episo-
di, dopo il suono delle campane della chiesa madre, il parroco e le donne videro calare dal cielo uno sconosciuto
in càusi i tila (in brache da tela).

     10 Il valore “magico” del verbo tagghiari ‘tagliare’ è evidente anche nell’espressione, registrata in VS, tagghiari

u scantu ‘eliminare, mediante una pratica magica, il trauma susseguente ad una forte paura o a uno choc’ (cfr.
s.v.). Ma nel caso dell’esorcismo della tempesta, il verbo potrebbe anche essere connesso alla consuetudine di
“fendere l’aria” con la falce, con movimenti orizzontali e verticali così da “disegnare” il segno della croce.

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