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I nomi dei venti in Sicilia
spesso, apportatori di pioggia o grandine (cfr. sopra), mentre, dall’elenco riportato, è
possibile notare come altre tipologie di vento, pur riconducibili a un sistema di deno-
minazione detoponimico, non siano basate su un nome di paese (cfr. sopra, marinu,
muntagnisi, suttanu, salinara, salinaru).
Un secondo appunto: la relazione spaziale tra coniatore e sorgente si dispiega
sempre all’interno di un raggio territoriale relativamente breve e, infatti, quando ven-
gono superati i confini intraprovinciali, la distanza non supera in genere quella com-
presa tra due province contigue. In pochi altri casi l’ampliamento del raggio sembra
dipendere dalla rilevanza (ecologica o socioculturale) della comunità sorgente: l’Etna,
il capoluogo di regione, la Provenza. Solo in questi casi il toponimo che si offre alla
coniazione appare sensibile alla lunga distanza.
Un’ultima considerazione riguarda l’assenza di tale meccanismo di denominazio-
ne in tutta l’area occidentale estrema: stante al VS, nel trapanese non esisterebbero,
infatti, nomi di venti rifatti sugli etnici, mentre nell’agrigentino e nel palermitano
occidentali il fenomeno sarebbe piuttosto sporadico. In una ideale progressione del
fenomeno da est a ovest (le aree orientali estreme appaiono piuttosto producenti)
il sistema di coniazione si ferma alle porte della provincia di Trapani. Menfi (ALS
304) è, infatti, l’unico punto dell’agrigentino occidentale che segna il confine meri-
dionale del fenomeno. Gli altri centri della stessa provincia nei quali è possibile rile-
vare questo sistema di formazione anemonomastica, Casteltermini (329), Racalmuto
(333), Ravanusa (341), Campobello di Licata (340), sono tutti confinanti con l’area
nissena. Sul versante nord-occidentale (provincia di Palermo) il fenomeno si arresta
a Campofiorito (222) e non sembra presente a Camporeale (215), Roccamena (216),
Contessa Entellina (217), centri palermitani occidentali che, da nord a sud, confinano
con il trapanese. I dialetti agrigentini e palermitani occidentali e l’intera area dialettale
trapanese resterebbero fuori, dunque, da questo meccanismo di formazione. Tale
condizione, oggi basata soltanto sulla documentazione dal VS, potrebbe non corri-
spondere a quella effettivamente rilevabile con una ricerca sul campo. Un’apposita
ricognizione sul terreno potrebbe costituire un’interessante prospettiva di lavoro sia
per ampliarne la documentazione, sia per comprendere le ragioni (o anche soltanto
per tracciare i contorni) di una presumibile non uniformità regionale di un fenomeno
che appare assai interessante per le sue implicazioni “parablasonali”.
2. Venti “discendenti” e “ascendenti”
Sulle Madonie è ben documentata la presenza dei continuatori della forma greca
ἀπογεία 2, impiegata per indicare ora la brezza di monte, ora quella di valle (cfr. Sottile,
Genchi: 31-32 e 48) 3. Questo lessotipo sembra presente solo nelle aree settentrionali
2 Documentata in Rohlfs (1966) per la Calabria: pója ‘brezza’ e púja e varr. ‘vento freddo di tramontana,
vento di terra’.
3 Il tipo lessicale è riportato anche in VS: (ME 100 = Mistretta, PA 43 = Marineo) f. antiq. ‘vento di terra,
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