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uscita. Questo probabile percorso di un pennello costiero della LIW che dall’epibatiale risale per
            diventare sempre più costiero ricorda quello che succede nella fascia costiera orientale dell’Adriatico.
            Anche qui i tonni di due, tre anni, che hanno stazionato in Mediterraneo Orientale sembrano seguire
            un pennello della LIW che s’insinua tra le isole ed isolette dell’articolata fascia costiera croata, istriana
            e triestina. Le vicende storiche, economiche e sociali di Capo Granitola, questa grande tonnara di
            ritorno sono state oggetto di saggi, racconti e narrazioni da parte di diversi Autori tra cui mi piace citare
            il lavoro colto e denso di empatia di Gianluca e Marco Serra (2012) da cui traggo alcune notizie. La sua
            nascita rimonta al periodo della dominazione araba della Sicilia (827-1060 d.C.) quando Mazara era
            Makkurà e Capo Granitola era Ras el Belat. Tuttavia la tonnara calava in una località vicina che era
            qualche chilometro più a levante, cioè a Tre Fontane ed a gestirla pare fosse una consorteria di pescatori
            siculo-arabi. La tonnara è menzionata in un documento manoscritto dal marchese di Villabianca nel
            1700 in cui si dice che la Tonnara di Tre Fontane pagava una decima di 82 onze al vescovo di Mazara,
            al quale per volontà espressa da Re Ruggero nel 1144 spettavano “in perpetuum decimas  omnium
            portuum et tymnariarum”. Venendo ad un periodo più vicino a noi, alla fine dell’ottocento il barone
            Adragna di Trapani, ottenne in concessione, con decreto ministeriale, una porzione di mare per calare
            la tonnara e sulla costa una porzione di demanio per realizzare le strutture di “marfaraggio” per il
            “barcareccio”, le reti e gli attrezzi vari. Il nome era Tre Fontane, ma la località era Capo Granitola. Nel
            1944, dopo lo sbarco alleato in Sicilia, la tonnara fu rilevata dal gruppo industriale Amodeo che
            all’impianto di pesca aggiunse la filiera conserviera del sott’olio. Nel ventennio che seguì la tonnara
            diede in media una cattura di 2000 tonni per stagione. Nel 1963 la tonnara pescò 2850 tonni ed in una
            sola tornata furono mattanzati 900 tonni. Ma i costi lievitavano e negli anni ’50 cominciavano i primi
            segnali di crisi. Nel 1954 fu chiusa la filiera conserviera. Ma continuavano i lavori di ammodernamento
            del complesso estremamente necessari ed indilazionabili (cabina ENEL, in sostituzione dei gruppi
            elettrogeni, costruzione del molo frangiflutti, costruzione di moderne celle frigorifere ecc.). A questo
            punto la gestione diventa critica a causa dei costi salariali per una ciurma divenuta pletorica rispetto alle
            esigenze, mentre vi si aggiungevano i problemi di antagonismo e successione dopo la morte del rais
            Vito Barraco che era stato per decenni il capo incontrastato dell’organizzazione del comparto mare della
            tonnara. Nel 1970, l’azienda Amodeo chiese ed ottenne che una impresa pubblica controllata dalla
            Regione Sicilia, la Sicil Tonnara entrasse nell’impresa acquisendo la quota di maggioranza, ovviamente
            per difendere i posti di lavoro dei tonnaroti, ma anche per ripianare le perdite a tutela dei soci. Ora, c’è
            una logica deviata nel ritenere che i pescatori possano trasformarsi in impiegati quando permane un
            fattore intrinseco di aleatorietà che è quello della consistenza e catturabilità della risorsa. Nel 1972
            l’impianto divenne totalmente pubblico, ma nel triennio successivo, un complesso di cause (attività
            sismica nel Canale di Sicilia, sommovimento dei fondali di Sciacca e aree limitrofe, tempeste di mare
            quali non si erano viste da tempo, ecc.) ed in contemporanea, il depauperamento progressivo della
            popolazione di tonno, a causa dell’aumento esponenziale dello sforzo di pesca (in termini di grandi
            tonnare volanti e quindi di  cattura di giovanili di tonno e di altri attrezzi da pesca), nonché le diverse
            forme di inquinamento, sia delle aree di riproduzione che delle aree di pastura, anche in Atlantico
            (ammassi di plastica nel Mar dei Sargassi, ecc.), portarono alla chiusura definitiva della tonnara di Capo
            Granitola. Ma, i casi della storia sono talvolta curiosi ed imprevedibili. Nel 2006 il Consiglio Nazionale
            Delle Ricerche rilevò parte del complesso di Capo Granitola per collocarvi il reparto di Oceanografia
            dell’IAMC (Istituto per lo studio dell’Ambiente Marino Costiero) la cui sede centrale era a Mazara del
            Vallo. Oggi ci sono due strutture operative indipendenti (Capo Granitola e Mazara) che però fanno
            capo allo IAMC sede centrale di Napoli. È successo così che il complesso della tonnara sia rimasto
            comunque legato al mare e ad un settore di studi che tanto può farci capire sulla vita ed i comportamenti
            del tonno e non sia finito, come nobile e silente rudere, a ricordo di una attività  umana, al momento in



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