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214 X. 9. La musica di tradizione orale
a sezione quadrata (tàgghia) che si teneva appesa al fianco. L’ammontare del “sal-
meggio” (sarmìggiu) era ufficialmente conteggiato dal signaturi mentre sorvegliava
l’accumulo del sale sull’ariuni. In un lavoro retribuito a cottimo diveniva però es-
senziale esercitare un controllo anche da parte degli operai, per evitare di essere fro-
dati a vantaggio del padrone. Le conte andavano di norma da uno a ventiquattro e si
basavano principalmente su espressioni stereotipe riferibili a un gergo di mestiere
pressoché incomprensibile a orecchie estranee. Molte parole risultano intraducibili
in quanto esito di trasformazioni dei termini ‘sale’ e ‘salina’ dovute esclusivamente
a ragioni di ordine fonico-ritmico (a esempio salannui, salarrè, salalina). In altri casi
troviamo versi in cui le parole sono giustapposte per ragioni di assonanza più che di
significato (a esempio sali cu li bballetti nn’àiu setti). L’intonazione era caratterizzata
da a uno stile “gridato” secondo un ritmo regolare e incalzante (cfr. Garofalo 1987).
Va inoltre segnalato che la funzionalità dei canti non si esauriva nella conta delle
ceste. Come dimostrano certi testi poetici e secondo quanto rivelano numerosi ex-sa-
linai, si cantava anche per tenere allegra la squadra e mantenere alto il rendimento
produttivo. D’altra parte, chi cantava era nel contempo partecipe del lavoro e non
aveva bisogno di effettuare una conta rigidamente progressiva. In base al numero dei
componenti della venna, il cantore poteva limitarsi a calcolare i “viaggi” (tragitti si-
multaneamente compiuti dalla fila dei trasportatori) e dedurre così il numero delle
ceste scaricate. Questo consentiva una notevole libertà espressiva che si traduceva in
sequenze di versi estemporanei dettati dalla situazione contestuale: rimproveri, deri-
sioni e incitazioni quando i compagni apparivano provati, recriminazioni sulle con-
dizioni di lavoro, riferimenti erotici (non di rado apertamente osceni), acclamazioni
ai santi e alla Madonna prima delle due pause, al compimento della centesima sarma
e alla fine della giornata lavorativa. L’abilità del cantore stava comunque nel terminare
ogni sequenza di versi enunciando il numero delle ceste contate, oppure alludendo
alla misura complessivamente raggiunta attraverso espressioni convenzionali. Un
esempio di questo genere è costituito dal canto sotto riportato, in cui dopo i primi
due versi non ricorre più alcun numero, mentre il verso finale è una formula per tag-
ghiari (segnare) la nona salma: una nica nni voli a bbella nave (una piccola ne vuole
la bella nave) equivaleva a dire che mancava una salma al completamento della de-
cina. Il secondo canto – registrato come il precedente nel 1954, quando il trasporto
del sale si effettuava ancora interamente a spalla (documenti sonori relativi a una fase
più recente si possono ascoltare in Guggino d.1974: brani A/5a-c) – è invece costituito
da una più canonica conta delle prime undici ceste.