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216                       X. 9. La musica di tradizione orale




            nari più anziani, che non mancano di ripeterli in occasione di incontri conviviali o per
            allietare le comitive di turisti che numerosi si recano a visitare i due musei etnografici
            sorti nel territorio delle saline (da qualche anno divenuto riserva naturale del WWF).


            9.5. Canti devozionali e lamenti funebri
               Come in altre regioni dell’Europa cattolica anche in Sicilia si sviluppa, soprattutto
            in epoca postconciliare, una intensa produzione di testi destinati alle pratiche extra-
            liturgiche connesse al culto del Cristo, della Vergine e dei Santi. Rosari, salveregine,
            inni, orazioni e narrazioni agiografiche sono composte in versi dialettali da sacerdoti
            o da “poeti” popolari, messe a stampa e poi eseguite in svariate occasioni sia da suo-
            natori-cantori professionisti sia da comuni devoti con diversi gradi di competenza
            musicale. La creazione in forma scritta dei testi e la loro diffusione in stampe popolari
            entra quindi in relazione osmotica con dinamiche esecutive tipicamente orali per
            quanto riguarda gli stili vocali e strumentali, la tipologia delle forme melodiche e
            l’articolazione degli accompagnamenti eseguiti con voci o strumenti. I moduli musi-
            cali più antichi mischiano il gregoriano (e i suoi derivati) al canto contadino, mentre
            quelli più moderni si uniformano allo stile della canzone urbana tardo settecentesca
            e ottocentesca. Per via esclusivamente orale si tramandano invece le arcaiche formule
            melodiche e i testi verbali dei lamenti funebri.
               Fino a un recente passato le celebrazioni previste dal calendario liturgico si so-
            lennizzavano parallelamente presso le abitazioni dei fedeli. Gli officianti di questi
            riti domiciliari appartenevano a una specifica categoria di suonatori ambulanti: gli
            “orbi” (obbi, uoibbi, orvi, ovvi, uorvi, uòrivi). Nella Palermo del Seicento la vicenda
            dei cantastorie “ciechi” si è legata all’istituzione di una confraternita intitolata al-
            l’Immacolata Concezione e posta sotto il patronato dei gesuiti (cfr. Guggino 1980 e
            Bonanzinga 2006b). La specializzazione di questi musici ambulanti restò soprattutto
            legata alla esecuzione di canti religiosi composti da autori sia laici, come Pietro Ful-
            lone (Palermo, XVII secolo) o Antonio La Fata (Catania, prima metà del XVIII se-
            colo), sia ecclesiastici, come il canonico Antonio Diliberto (Monreale, XVIII secolo,
            autore del celebre Viàggiu dulurusu, cfr. infra) o il sacerdote Giovanni Carollo (Ca-
            rini, seconda metà del XIX secolo).
               Grazie soprattutto al lavoro di ricerca svolto tra il 1970 e il 1990 da Elsa Guggino
            disponiamo di un’ampia documentazione del modo in cui hanno operato gli ultimi orbi
            palermitani, in continuità con le precedenti generazioni di cantastorie specializzati nel
            repertorio sacro (cfr. Guggino 1980, 1981, 1988; documenti sonori in Garofalo/Guggino
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