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Dopo esser caduto nelle mani della Banca Commerciale Italiana, l’Impero dei Florio si afflosciò
su sé stesso e implose.
Orazio Cancila riporta nel suo interessante volume un aforisma statunitense a proposito di
famiglie di immigrati “che iniziarono in maniche di camicia, e nel corso di tre generazioni si
ritrovarono in maniche di camicia”.
Liberata la storia dei Florio dalle agiografie e luoghi comuni, essa può offrire un valido esempio
di ciò che si può fare e come si deve fare.
Sapranno le giovani generazioni trarre vantaggiose considerazioni dallo studio di questa gloriosa
famiglia nata alle falde di Aspromonte, vissuta negli agi di mezza Europa e ridiscesa in una
modesta ma sempre più che decorosa conduzione domestica al sole della riviera ligure?
6.- “Baby Boy”
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1891, Ignazio
Florio (1869-1957) divenne, come cennato, il
capitano d’industria più importante e potente della
Sicilia, e a lui toccò la gestione di un immenso
gruppo industriale formato da manifatture
siderurgiche e tessili e chimiche, partecipazioni in
banche, attività strategiche come i cantieri navali, e
attività commerciali su svariate merceologie, e poi:
industrie dell’alimentazione fra le quali tonnare,
saline, vigneti, e il polo centrale, il polmone
finanziario che tutto muoveva: la maggioranza
partecipativa nella “Società di Navigazione Italiana”,
al top delle grandi flotte di navigazione d'Europa.
Nella prima gioventù, il giovane Florio girò l’intera
Europa e si formò una cultura e una sensibilità da
adulto navigato; conosceva bene le maggiori lingue
fra le quali l’inglese, parlato con assoluta
disinvoltura.
Prese dunque in mano il patrimonio del gruppo
industriale paterno e ne potenziò la composizione
Ignazio Florio jr. (Baby Boy) insieme allo zio Vincenzo. sconvolgendo, lo abbiamo già annotato, la
Vincenzo non ebbe figli e su Baby Boy riversò un amore conduzione “bottegaia” ma in effetti raffinatamente
più che filiale
commerciale, dei suoi avi.
A inizio del Novecento si formò la società anglo-siciliana per lo zolfo e il Consorzio agrario
siciliano. Molto sensibile all’arte, la musica e l’archeologia, diede vita alla Ceramica Florio e fu
più che presente al lancio del Teatro Massimo di Palermo, un vero gioiello architettonico,
divenendone il principale impresario. Ma tutto passa (immeritatamente) in secondo piano di
fronte alla bella impresa della costruzione di Villa Igiea all'Acquasanta, un capolavoro del liberty
che offriva il meglio dell’arte allora in voga in una costruzione dominante ove il villeggiante, Re
e Imperatori compresi, davvero ebbe l’impressione di stare in paradiso. E poi la fondazione del
giornale L'Ora di Palermo, col compito di diffondere ovunque in Europa le istanze della Sicilia
imprenditoriale (e la competizione con gli industriali del Nord sarà durissima e purtroppo alla
fine perdente), una Sicilia da fare divenire un tassello importante nell’Europa in sviluppo, e fare
divenire Palermo il cuore pulsante di questa nuova realtà meridionale. Se i Gruppi d’Investimento
internazionali si fossero convinti della fattibilità di un grande progetto-Sicilia, l’Isola sarebbe
davvero decollata. Ma anche la rivendicazione per una migliore condizione delle classi più
svantaggiate come notato. In questa direzione mosse l’iniziativa della grande Esposizione
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