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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

                                       TRAPANI: CARCERI SAN FRANCESCO

                LA TENTATA EVASIONE DEL 30 APRILE 1944 DALLE CARCERI CENTRALI GIUDIZIARIE

La sera del 30 aprile 1944, il sottocapo degli agenti di custodia, Russo Salvatore, si accinge ad effettuare la visita di
controllo delle celle, con relativa conta numerica dei detenuti.
Nelle carceri di San Francesco, c'è un grave sovraffollamento, infatti, a fronte di una capienza di 179 detenuti, quel
giorno ve ne sono stipati, come sardine, 350. Di contro su 40 agenti previsti, ve ne sono solo 34 in servizio.
Per questo motivo, il sottocapo ordina all'agente Denaro Salvatore, di servizio al 1° piano, di andare con lui a fare la
conta, unitamente all'agente Azzolini. Il Denaro a sua volta si fa sostituire nel suo posto, dall'agente Ricci Enrico che,
pur essendo libero dal servizio era rincasato in caserma in quel momento.
Il sottocapo Russo e l'agente Azzolini Alessandro, entrano nelle celle; l'agente Denaro apre e chiude i cancelli,
restando fuori dalla stanza.
La conta inizia dai piani superiori per terminare poi al piano terra. Gli agenti entrano nella cella n.13 della 1^ sezione,
al piano terra e quando il sottocapo Russo e l'agente Azzolini stanno per uscire un gruppo di 7 - 8 detenuti piomba
loro alle spalle cercando di immobilizzarli. Contemporaneamente, altri detenuti, provenienti dal cortile, aggrediscono
l'agente Denaro.
Ma come hanno fatto i detenuti ad uscire dalle celle? Si scoprirà in seguito che, un gruppo di detenuti, della cella n.8
alle ore 16,00 del 30 aprile, prima di rientrare nella stanza dai passeggi, era riuscito a rompere delle strisce di ferro
di alcune brande che giacevano nel cortile ed a svellere una sbarretta pure di ferro, che proteggeva il coperchio del
pozzo ubicato nel cortile medesimo. Questi erano riusciti a nascondere quei pezzi di ferro che poi usarono come
grimaldelli alle ore 21,30 durante la conta.
Il sottocapo Russo cerca di resistere ma ha almeno 6 detenuti addosso; viene colpito ripetutamente alle braccia, alle
spalle. Il detenuto Maggio Vito, ex guardia campestre conosciuto anche dagli altri detenuti come "individuo
sobillatore, malcontento, irrequieto e non rispettoso dell'altrui proprietà" si rivolge al sottocapo minacciandolo: Mi
dassi li chiavi! Mi dassi li chiavi! Chi ci nni m'porta a vossia? Stamu murennu di la fami….. E il detenuto Pizzo Ludovico
aggiunse: Noi tentiamo di avere la libertà perché abbiamo fame! Male non ve ne vogliamo fare, lasciateci andare via!
- ma intanto continuavano a colpire il Russo, che sopraffatto cadde a terra, non prima di gridare: AIUTO! RICCI
AIUTO!
Nel frattempo, anche l'agente Denaro che stava sulla porta fu aggredito da dietro dai detenuti Stassi Giuseppe,
Barbarossa Rosario della cella n.8; Lo Stassi gli mise una mano sulla bocca per impedirgli di gridare e il Barbarossa
si impadronì delle chiavi mettendosi di guardia sulla soglia della cella. Poi il detenuto Stassi mise uno scialle sopra la
testa dell'agente Denaro allo scopo di non farlo gridare. Anche i detenuti Vella Giuseppe e i fratelli Impiccichè,
Salvatore e Francesco stavano partecipando a quella che si preannunciava una facile evasione, aprendo i cancelli
delle restanti celle ed invitando gli altri detenuti ad abbandonare i letti ed uscire per fare causa comune: Chi vuole
uscire, esca! -
Ma, le grida d'aiuto del Russo, seppur soffocate erano state udite dall'agente Ricci che precipitatosi al piano terra,
avvertì l'agente portinaio Scarlata Giuseppe; insieme chiamarono il Capoguardia Vasnino Arturo e gli agenti in quel
momento presenti in caserma; il Capoguardia dopo avere impartito l'ordine all'agente Ricci di avvisare
immediatamente il Direttore di quanto stava accadendo e l'Arma dei carabinieri nonché la sentinella esterna di
intensificare la vigilanza, armatosi di rivoltella, mentre il portinaio caricava i fucili, aprì lo spioncino del cancello che
dava sul cortile e nel buio e nel silenzio più assoluto notò un andirivieni d'una decina di uomini che dalla stanza n.13
passava alla 8 e viceversa, soffermandosi ai cencelli delle celle 10 e 11. Il detenuto Pizzo Ludovico ronzava tra il
cancello del 1°passeggio e quello della cucina detenuti, ma non sapeva che il cancello della cucina, da dove
sarebbero arrivati in portineria, si poteva aprire solo dall'interno.
In quei momenti di tensione, avveniva un dialogo surreale tra il detenuto Maggio Vito che insisteva dicendo che quella
evasione era stata organizzata perché i detenuti stavano morendo di fame, e il sottocapo Russo che rispondeva
dicendogli che quella non era una scusa valida, in quanto con il 1° maggio (l'indomani) la "razione" che passava
l'amministrazione ai detenuti, sarebbe stata aumentata di molto.
Il Capoguardia Vasnino ruppe gli indugi e ingiunse ai detenuti di rientrare nelle loro celle: Rientrate immediatamente ai
vostri posti! E' un ordine. Vi avverto che sono armato.
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