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Queste sono dosi importanti, in considerazione dell’elevato grado di tossicità del
terpenoide nei confronti di batteri, protisti, funghi, cellule di mammifero in coltura, ricci di
mare ecc., e del fatto che in aree del nord-ovest del Mediterraneo il livello di
colonizzazione è tale per cui si possono raccogliere da 1,8 a 5,3 Kg di alga per m2 di
substrato, corrispondente ad una produzione di 3,5-10,3 g di caulerpenina.
Un tale potenziale tossico, associato alle sorprendenti capacità omeostatiche e riproduttive,
rende la Caulerpa più competitiva nei confronti delle specie autoctone, sottoposte al
continuo grazing dei macro-erbivori bentonici (Riggio, 1995). La produzione di
antideterrenti come caulerpina e caulerpicina (dei mono e sesquiterpenoidi, repellenti se
non tossici, presenti in concentrazioni minori della caulerpenina) ha assicurato, o quasi,
alle Caulerpe la mancanza di un intenso overgrazing. Di fatto i Molluschi Sacoglossi sono
gli unici erbivori che pascolano sulle Caulerpe in quanto capaci di annullare l’effetto
tossico della caulerpenina, che viene trasformata in metaboliti secondari più tossici.
Oxynoe olivacea (Rafinesque, 1819), Lobiger serradifalci (Calcara, 1840) e Ascobulla
fragilis (Jeffreys, 1856) si nutrono attivamente delle specie del genere Caulerpa.
Allo stesso tempo un’altra specie, C. racemosa var. cylindracea, si è andata espandendo in
molte zone del Mediterraneo. C. racemosa è una specie pantropicale originaria
dell'Australia sud-occidentale. La sua prima segnalazione in Mediterraneo è avvenuta nel
1991 nel porto di Tripoli, in Libia (Nizamuddin, 1991). La sua presenza è stata
successivamente segnalata in 13 paesi mediterranei e nell'arcipelago delle Canarie
(Verlaque et al., 2000, 2003, 2005; Durand et al., 2002; Piazzi et al., 2005; Ould-Ahmed e
Meinesz, 2007; Klein, 2007; Klein e Verlaque, 2008). Per quanto riguarda le coste italiane,
è apparsa per la prima volta nel 1993 in Sicilia (Alongi et al., 1993), poi l'anno seguente
sulle coste livornesi (Piazzi et al., 1994), in seguito in Sardegna (Di Martino e Giaccone,
1995) ed in Liguria (1995) (Bussotti et al., 1996); successive sono le segnalazioni nel
Golfo di Salerno (Gambi e Terlizzi, 1998) e nel Golfo di Taranto (Buia et al., 1998). La
presenza di C. racemosa rappresenta un'importante minaccia per la diversità biologica
degli ecosistemi costieri (Boudouresque et al., 2006) perché va ad interferire con le specie
indigene, modificando la struttura delle comunità fito (Cebrian e Ballesteros, 2009) e
zoobentoniche (Argyrou et al., 1999). Studi sperimentali (Piazzi et al., 2001a; Piazzi &
Cinelli, 2003; Balata et al., 2004) hanno mostrato che l'invasione ha un grande impatto sui
popolamenti macroalgali presenti sulla matte morta di P. oceanica e sui fondi rocciosi, che
si traduce in una riduzione del ricoprimento del substrato, del numero delle specie e della
diversità; Ceccherelli et al. (2002) hanno osservato inoltre che la presenza di turf promuove
l'espansione di C. racemosa. E' interessante sottolineare come, invece, non sia stata
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