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chiari ed espliciti sin dall’inizio in modo da sviluppare una "gestione adattativa",
ossia una forma di gestione fondata su basi scientifiche e che preveda una
strategia di monitoraggio che permetta di misurare l’efficacia dei vincoli di
protezione cui l’area è sottoposta, di valutare sistematicamente il grado di
raggiungimento degli obiettivi gestionali ed eventualmente apportare modifiche
ove si renda necessario (DIVIACCO, 2001; FRASCHETTI e TERLIZZI, 2003).
Una volta stabiliti gli scopi che l’AMP tende a realizzare è possibile predisporre il
piano di zonizzazione. Questa, secondo BOHNSACK (1996), è lo strumento ideale
per separare nello spazio attività fra loro incompatibili, per proteggere le risorse
naturali e ridurre la conflittualità nel territorio; essa dovrebbe valere non solo
all’interno delle aree protette, ma come criterio di base nella pianificazione del
territorio.
Un’attenta ed efficace zonizzazione dovrebbe evitare conflitti fra i vari gruppi
utilizzatori e conciliare l’uso del territorio con l’opera di conservazione garantendo
così usi multipli.
Con tale piano bisognerebbe individuare all’interno dell’area da proteggere diverse
zone, soggette a differenti regolamentazioni, con differente protezione e dunque
con differenti scopi e possibilità di utilizzo.
Il piano di zonizzazione, in genere, prevede una zona centrale ad alta naturalità in
cui non dovrebbe essere consentita alcuna attività umana, a parte il monitoraggio
ambientale e la ricerca scientifica. Attorno a questa, che viene chiamata zona di
riserva integrale, si dovrebbe sviluppare un sistema di zone cuscinetto
concentriche nelle quali sono consentite attività compatibili con il piano di
protezione e conservazione quali l’agricoltura biologica, allevamento estensivo,
pesca artigianale con nasse e reti a tremaglio, immersioni subacque, forme
ricreative e turismo ecocompatibili (BOERO et al., 1999; TUNESI, 2001).
Poiché il mantenimento della diversità biologica all’interno di un’area protetta non
dipende solo dalla dinamica interna della riserva ma anche dal contesto in
cui questa è inserita, non è assolutamente possibile considerare un’AMP come un
qualcosa di avulso da ciò che la circonda.
Il che è particolarmente vero nelle aree marine per via delle caratteristiche fisiche
dell’ambiente, dell’assenza di barriere e della continuità esistente fra aria e acqua,
mezzi estremamente unificanti ed omogeneizzanti (AGARDY, 1995; 1999; BOERO
et al., 1999).
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