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Il lavoro successivo è quello, fondamentale, svolto dagli agricoltori i quali, attraverso
un’intensa e reale, quanto spesso inconsapevole, attività di miglioramento genetico sul
campo, hanno selezionato ecotipi superiori diffondendo poi sul territorio regionale una
ricchezza di varietà e tipologie di fruttiferi che sono giunte molto spesso fino ai nostri
giorni. È singolare, infatti, come ancora oggi sia possibile riscontrare per il territorio
siciliano varietà autoctone di susino, di pero, di melo, ecc. riportate con la medesima
denominazione da un paio di secoli e come la corrispondenza delle descrizioni, sia in
termini pomologici che in relazione agli areali di provenienza e coltivazione, non lasci
spazi ad interpretazioni diverse. Il tema delle denominazioni varietali, più in dettaglio,
potrebbe invece vedere un interessante approfondimento antropologico: i toponimi
ma anche i nomi dei fondi rurali da cui il materiale vegetale proveniva, dei proprietari,
dei borghi, dei Santi patroni, dei riferimenti alle caratteristiche ecologiche (ad esempio
la precocità di maturazione piuttosto che tardività), sono tutti modi di descrivere e
denominare le varietà autoctone che trovano, in questo modo, una inconfondibile
distinguibilità con il patrimonio alloctono. Quest’ultimo tarderà ad arrivare nell’Isola
ma la sua diffusione sarà determinante.
Il percorso della frutticoltura regionale è simile nelle isole minori della Sicilia che, tra
esse, amplificano la diversità ecologica e delle specie presenti in conseguenza di una
fortissima diversità di matrice pedologica e climatica ancor prima che per altri aspet-
ti. Tra le Egadi, le Eolie, le Pelagie ma anche le piccolissime terre emerse molto vicine
all’Isola maggiore nella Provincia di Trapani (Isola Grande, Mozia e S. Pantaleo) si arti-
cola tutta una serie di specificità morfologiche e geo-pedologiche che hanno di certo
condizionato lo sviluppo agricolo e della frutticoltura in particolare. Il viaggiatore che
vola verso le Pelagie, ad esempio, nota con evidenza assoluta la differenza di vegeta-
zione esistente tra Lampedusa e Linosa che si caratterizzano per matrici completa-
mente diverse, calcarea la prima e vulcanica la seconda.
Al di là di ogni riferimento specifico alla pedologia delle isole minori siciliane, la presen-
za delle specie frutticole è assolutamente diffusa e talvolta dominante. Ma, fatto stra-
ordinario, all’interno delle piccole isole circumsiciliane è individuabile un flusso di
uomini e di colture (e cultura) che lambisce l’Isola principale ma che mantiene caratte-
ri di autonomia. Così dalle Eolie gli agricoltori si spostano a ri-colonizzare Ustica dopo
le deportazioni dei corsari e da lì a Pantelleria e da lì alle Pelagie. Per cui è normale
incontrare in maniera ricorrente tra i gruppi di abitanti di isole diverse lo stesso
cognome, ma anche lo stesso nome ad indicare varietà di frutta probabilmente
derivate da un ceppo originario comune.
I fruttiferi hanno occupato le aree fertili e coltivabili, talvolta con orografia complessa e
con una forte incidenza dei venti dominanti ma sempre con una diffusione capillare
che difficilmente ha reso una specie frutticola dominante sull’altra e ciò in ragione di
una economia principalmente votata all’autoconsumo.
La straordinarietà della frutticoltura tradizionale delle isole minori legata alle varietà
storicamente autoctone e spesso selezionate sulle isole stesse sta nel fatto che essa,
in moltissimi casi, giunge ancora ai giorni nostri con una evidenza assoluta. Nelle isole
minori, infatti, è vivo il concetto di giardino ovvero di quell’unità di terra deputata alla
coltivazione di ortaggi ma anche di frutti per l’uso della famiglia, in primis, o per la
commercializzazione di piccola scala dell’eccedenza. Il giardino a poco a poco si identi-
fica con il frutteto e diventa un elemento di reale sussistenza a cui si affidano intere
famiglie per l’approvvigionamento dei bisogni alimentari.
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