Page 10 - Quaderno_nat_bio05_2013
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Quando nella metà degli anni Cinquanta inizia la contaminazione della campagna
                mediterranea attraverso l’introduzione delle cultivar alloctone, si verifica l’omogeneiz-
                zazione  degli  impianti  frutticoli  delle  aree  idonee  alla  intensificazione  agricola  e  si
                assiste in  qualche modo al collasso della frutticoltura autoctona che viene sempre più
                relegata alla marginalità, sia in termini agronomici che economici. Nelle aree meno
                vocate, la perdita di redditività e la mancanza di valorizzazione delle colture tradizionali
                accompagnano un graduale abbandono delle campagne con il conseguente rischio di
                perdita dei saperi, delle conoscenze, delle tradizioni e delle colture agroalimentari.


















                         I resti dell’agricoltura sull’isola di Lipari (S. Guidi)

                Nelle isole minori siciliane, tuttavia, questo processo è più lento, talvolta assente, forse
                a causa o grazie a quella orografia complessa e articolata che non offre grandi alter-
                native. La popolazione impegnata in campagna invecchia sempre più ma rimane forte-
                mente ancorata all’agricoltura tradizionale, ai giardini, alla possibilità di trovare sussi-
                stenza ed economia dalle produzioni di piccola scala. Tutto questo grazie anche alla
                promiscuità delle colture che, se da un lato è vista come una caratteristica negativa,
                nelle piccole isole diviene una risorsa che accompagna la conservazione della biodiver-
                sità di interesse agrario soprattutto a fini alimentari. È da più parti riconosciuto, infatti,
                che la migliore forma di conservazione dell’agrobiodiversità è il consumo del prodotto,
                meglio ancora se da esso è possibile ottenere derivati o trasformati in grado di au-
                mentare il periodo di commercializzazione, di disponibilità e, di conseguenza, il valore
                aggiunto finale. Esemplare al riguardo è l’uso del ficodindia per l’alimentazione umana
                e animale. La conservazione, soprattutto quella  ex situ, non accompagnata da una
                reale valorizzazione economica mantiene un’importanza rilevante ma certamente più
                complessa e difficile da condurre e da sostenere. Negli areali in cui l’agrobiodiversità
                mantiene e può mantenere un ruolo importante nell’economia di areali rurali, ancor-
                ché ristretti e molto limitati, la conservazione del patrimonio autoctono avviene di fatto
                senza dover mettere in piedi strutture o catene economicamente poco sostenibili.



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