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A bordo dei pescherecci oggi, come ieri, si muovono sul nostro mare migliaia di
pescatori che hanno scelto o ereditato un mestiere mai sicuro e troppo spesso
pericoloso. La crisi del settore pesca in Italia oggi è una triste spia di una situazione
di disagio e di precarietà che minaccia una delle attività storicamente più importanti.
Ma per fortuna c’è ancora chi regala l’anima a questo mestiere, lavorando
alacremente in una giornata di mare calmo o riparando reti strappate quando le onde
diventano cattive e impietose. Il Mediterraneo non smette mai di essere il crocevia
di innumerevoli avvenimenti. I suoi stessi confini si spostano e la conseguenza di
questi movimenti è ancora una volta l’avvicinamento di popoli e culture. Risulta
quindi sempre più giusta e attuale la felice intuizione di Braudel che definisce il
Mediterraneo un “continente liquido”. Ma non è soltanto la storia che suggerisce
questa immagine, anche illustri linguisti del calibro di Mirko Deanović e
Gianfranco Folena, sul finire degli anni cinquanta scrivono nel primo numero del
Bollettino dell'Atlante Linguistico Mediterraneo: «Ambiente geografico ed
ecologico unitario, il Mediterraneo ci appare, fin dalle epoche più remote, nelle
quali proprio la linguistica insieme con l'etnologia e l'archeologia ci ha aiutati a
spingere lo sguardo, un luogo predestinato per l'incontro di civiltà e di lingue
diverse».
Su questo mare ogni giorno si muovono barche di pescatori variamente attrezzate
ed equipaggiate per i differenti tipi di pesca. Su queste barche non viaggiano
soltanto uomini, saperi e culture che diventano in fretta patrimonio condiviso, ma
anche linguaggi e parole, che insieme costituiscono l’affascinante vocabolario del
mare che diventa uno strumento efficace per ricostruire mappe geografiche e
storiche per la ricostruzione del percorso delle parole.
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