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Alla fiera della memoria. Feste, identità locali e mercato culturale in Sicilia

contrario di altre espressioni della cultura popolare inesorabilmente scomparse,
restano d’altronde ancora vive e presenti, mostrando una certa resistenza al mu-
tamento e anzi, in certi casi, significative riprese. Ancora oggi in molti paesi sici-
liani, nelle grandi feste pubbliche, «in cui sono coinvolti una vasta gamma di sta-
ti d’animo e di motivazioni da un lato, e di concezioni metafisiche dall’altro, che
plasmano la coscienza spirituale di un popolo» (Geertz, 1987: 143), si ritrovano
l’ordine e il senso dell’esistenza, si dimenticano frustrazioni e disagi, si supera il
senso di irrilevanza ed impotenza individuale, si riconquistano ruoli e pertinen-
ze permettendoci «di vivere in un mondo ordinato e non caotico, […] di sentirci
a casa nostra in un mondo che altrimenti si presenterebbe ostile, violento, im-
possibile» (Terrin, 1999: 21). Funzione specifica della religione è, infatti, quella di
farsi medium della comunicazione rendendo “determinato” un mondo di senso
“indeterminato”, e finendo con il ridurre la contingenza dell’ambiente vissuto a
livelli sostenibili. La religione «sembra essere così l’unico subsistema capace di
rispondere a domande, esigenze, problemi di senso soggettivo che nessun altro
sistema è in grado di elaborare» con analoga efficacia. La funzione che la religio-
ne svolge non è solo integrativa ma anche interpretativa, «cioè per gli individui
essa rappresenta una risorsa di significati che consentono di immaginare unito
ciò che in realtà è diviso, assoluto ciò che è relativo» (Pace, 2007: 39-40).

    Se è evidente che il sentimento di appartenenza ribadito annualmente nelle
feste contribuisce a definire e sostenere il senso stesso delle nostre esistenze,
il nostro “essere nel mondo”, è altrettanto chiaro che il loro processo di impo-
verimento e omologazione può condurre a forme imprevedibili di alienazione.
Ragione questa che deve sospingerci a guardare con particolare attenzione alla
moltiplicazione, accanto e insieme alle feste religiose “tradizionali”, di rievoca-
zioni storiche in costume e di sagre dei prodotti tipici, a rilevare come il totem
durkheimiano, spoglio di ogni residua sacralità, non sia più il santo protettore
ma il genuino prodotto locale (il ficodindia, l’olio, la sfincia, la caciotta, il cous
cous, il tonno, il pistacchio, ecc.), i riscoperti antichi mestieri e le tradizionali
manifatture (il cioccolato, il dolce tipico, il prodotto tessile, la ceramica, ecc.),
ovvero la rievocazione in costume di momenti della storia locale, dal Palio dei
Normanni di Piazza Armerina alla Giostra dei Ventimiglia di Geraci Siculo.

    In verità, più spesso, antichi e nuovi totem convivono uno fianco all’altro e
offrono soddisfazione a esigenze di gruppi diversi o a diverse esigenze degli
stessi individui. Da un lato, infatti, va considerato che ciascuna comunità è com-
posta da una pluralità di individui che, pur nella condivisione di un orizzonte
culturale comune, sono diversi per età, per sesso, per livello sociale, per “ruolo”,
per “competenze”, per “formazione”, per “aspirazioni”, per “tensioni religio-
se” e, pertanto, partecipano con diversa consapevolezza e con diverse motiva-
zioni al farsi festivo (Goody, 1996; Smith, 1978; Greimas, 1995: 4; Beattie, 1998:
123 ss.); dall’altro che, nonostante i condizionamenti della “matrice culturale”
preesistente (Kluckhohnm 1969; Cirese, 1997: 129-130), ciascuna comunità, per
quanto “isolata” e “marginale” possa essere, si trova a doversi confrontare con

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