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tutto probabile dunque che dall’Africa esso si sia diffuso in Sicilia, nella
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quale compare con notevole frequenza .
Già Pace intuì che si potesse trattare della «dedica della chiesa o nel
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caso più modesto, del pavimento, costruito a cura dei devoti» .
Inspiegabilmente Novara parla invece di ‘epitaffio’ e sepoltura di Cobuldeus,
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considerando dunque l’iscrizione di natura funeraria . L’uso infatti di
assumere le spese per la pavimentazione degli edifici sacri vigeva già presso
i pagani, dai quali successivamente si trasferì ai cristiani dopo la Pace di
Costantino. Abbiamo riscontro di tale usanza in numerose chiese, soprattutto
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in quelle erette nell’Italia del Nord, in Istria e in Africa settentrionale . Nel
caso della nostra iscrizione, in base alle dimensioni e alla sua posizione,
sembra si possa effettivamente parlare di dedica dell’intero pavimento.
Billotta, spingendosi oltre, conviene che la dedica possa addirittura far
pensare alla costruzione dell’intera basilica ad opera di facoltosi proprietari
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del luogo . Questa epigrafe è la sola a carattere votivo dell’intero
pavimento ( in verità delle sue parti superstiti ) ed ha una posizione di spicco
nell’economia generale del mosaico. Le sue dimensioni ( 2,50 x 1 m ) sono
alquanto notevoli rispetto all’estensione del pavimento B . Situata in una
posizione centrale, come del resto l’iscrizione del pavimento A, ma
leggermente spostata verso l’area presbiteriale, essa si inserisce senza
fratture e discontinuità nel tessuto musivo che la circonda. La cornice a
triangoli rossi che delimita l’iscrizione produce un grande impatto visivo e le
conferisce dunque uno spiccato effetto di rilievo nei confronti dell’intero
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A titolo di esempio, solo per rimanere nella nostra zona, si può riscontrare tale nome su
numerosi bolli di mattoni provenienti da Segesta, Alcamo e Monte San Giuliano; vd., SALINAS 1893, p.
342.
377 PACE 1916, col. 707.
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NOVARA 1975, p. 55.
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CARILE 1995.
380 BILLOTTA 1977, p. 38.
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