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ma anche altrettanto sottostimata (cfr. Laghetti et al., 1996), come dimostrano le
indagini condotte in questi ultimi anni e il lavoro di catalogazione messo in atto da Ines
Lommatzsch e Anna Stigebrandt-Huerta. Se, infatti, sono stati studiati alcuni aspetti
peculiari della frutticoltura pantesca quali la cappericoltura (Barbera e Di Lorenzo,
1982) o, a motivo della loro esclusività, l’olivicoltura (Baratta e Barbera, 1981) e i
“giardini” (Brignone, 2012), ed è abbastanza nota l’evoluzione della agricoltura
nell’isola e anche le variazioni nelle coltivazioni (cfr. ad es. Calcara, 1854 a; Pasta e La
Mantia, 2003), non vi sono studi sulla diversità frutticola, che pure sembra essere
una costante nei secoli per quest’Isola. Calcara (1854) scrive che “gli arabi stabilirono
i primi uliveti nella contrada Zyston nome indicante contrada degli ulivi … la varietà di
ulivo che vi lasciarono gli antichi è la Giaraffa, oggi però propagano la così detta
Bianculidda (oggi di fatto l’unica varietà presente, n.d.A.) … Coltivano inoltre in Pantelle-
ria varie piante legnose da frutta, così i pomi … la migliore è quella che dicono Giurbi,
che è la più zuccherina … di peri, di rossi, di S. Giovanni, di Salemi, di Giampaolo … colti-
vano il carrubo, mandorlo, pesco, albicocco ed altri alberi da frutto”. Calcara riporta
inoltre un lungo elenco di varietà di vite. Qualche anno dopo Furia (1863) a proposito
delle specie da frutto scrive: “trovansi impiantate a vigneti, ed alberi fruttiferi di fichi,
mele, mandorle, fichidindia e simili”. Tra questi simili non dimentichiamo che c’è anche
il castagno.
I frutti di questo olivastro di San Pantaleo (Mozia) sono stati raccolti
probabilmente dai Cartaginesi (T. La Mantia)
Assolutamente sconosciuta è la biodiversità frutticola delle isole dello Stagnone e
delle Egadi che, tra l’altro, non hanno mai suscitato l’interesse dei naturalisti
dell’Ottocento come il Calcara, a causa anche dell’assenza di piani organici di coloniz-
zazione. Probabilmente un ruolo non secondario lo ha giocato l’importanza per le isole
di altre attività, come le saline, la roccia da intagliare, i boschi, ma anche la complessa
storia umana (cfr. Maurici, 2001) e l’effettiva ridotta importanza in termini di superfici
investite, si pensi a Marettimo e a Levanzo. Poche informazioni sono disponibili, ad
esempio, per i vigneti nell’isola di Levanzo impiantati dai Pallavicino alla fine del
Seicento.
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