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Ignazio E. Buttitta

offrendo uno spazio di scontro e/o di accordo pubblico, le partizioni sociali, le
appartenenze politiche e i rapporti di potere di ciascuna comunità (Glukman,
1972; Cipriani, 1986; Faeta, 1999: 147-164; Balandier, 2000: 97 ss.). In sostanza la
Sicilia festiva si offre oggi come una realtà mutevole e poliedrica, con forti scarti
territoriali, dove è possibile osservare il folklorico e il folkloristico, la tradizione,
la riproposta e l’invenzione convivere l’uno accanto all’altro in forme non sem-
pre immediatamente decodificabili.

    All’interno di questo scenario e in rapporto a questi processi, soprattutto per
quanto attiene le iniziative di recupero e di valorizzazione dei patrimoni locali,
avrebbe potuto svolgere un incisivo ruolo di mediazione il mondo accademico
anche attraverso la formazione di specifici profili professionali e l’individuazio-
ne di adeguati percorsi di inserimento. Le esperienze avviate in questa direzione
– penso, in primo luogo, alla istituzione dei Corsi di laurea in Beni demoetno-
antropologici e in Scienze del turismo dell’Università degli Studi di Palermo
– si sono rivelate sostanzialmente fallimentari a causa di una serie interrelata di
fattori: il prefigurato ma mancato intervento delle Istituzioni pubbliche (in pri-
mo luogo la Regione Siciliana) incapaci di promuovere (per insipienza, per in-
differenza, per inattitudine a cogliere le opportunità) serie e organiche politiche
culturali (basti pensare alle enormi risorse, messe a disposizione della Regione
dal F.S.E., sprecate o non utilizzate), la miopia e l’inerzia degli organi dirigenti
degli Atenei, una ancora radicata cultura del “posto fisso”. Nei rari casi in cui un
concreto dialogo è stato avviato, si è troppo spesso risolto in un adeguamento
alle direttive proposte/imposte dalle Istituzioni pubbliche sempre pronte a rac-
cogliere, per ovvi motivi, le indicazioni del mercato e di certe lobbies politiche,
in nome di quel presunto sviluppo sociale ed economico che dovrebbe quasi
automaticamente derivare dalla proliferazione dell’offerta turistica. In questa
direzione basti segnalare che importanti interventi, quali l’istituzione da parte
dell’Assessorato regionale dei Beni culturali di un Registro delle Eredità imma-
teriali, sono stati di fatto sviluppati ignorando i contributi di ricerca e di analisi
realizzati nell’arco di decenni dalle Università isolane, spesso paradossalmente
in concorso gli stessi Istituti regionali periferici: dalle Soprintendenze ai Musei
etnoantropologici, ai Centri regionali per il Catalogo e per il Restauro.

    Almeno a partire dalla metà degli anni Sessanta, infatti, da parte dell’Istituto
di Scienze antropologiche e geografiche dell’Università degli Studi di Palermo
(poi confluito nel Dipartimento di Beni Culturali e ora nel macro Dipartimen-
to Beni Culturali-Studi Culturali) e da associazioni private quali il Folkstudio,
l’Associazione per la Conservazione delle Tradizioni Popolari, il Centro di Stu-
di Filologici e Linguistici Siciliani, il Centro Internazionale di Etnostoria furono
avviate sistematiche attività di raccolta e di ricerca sul patrimonio etnoantropo-
logico (materiale e immateriale) che delinearono un panorama, per molti versi
inedito, della cultura tradizionale siciliana (segnatamente dei fenomeni relativi
alla religiosità popolare), esitando nella produzione di una vasta e notevolissi-
ma attività documentaria e saggistica e nella costituzione di preziosi archivi e

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