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Da Santa Caterina alla Colombaia di Giuseppe Romano

                               BAGNO DI ESPIAZIONE DEL CASTELLO DI TERRA

Il Castello di Terra, insieme alla Fortezza della Colombaia, costituiva le estreme emergenze del sistema difensivo
della città, su cui si misurarono per anni le logiche del piano fortificatorio sviluppato nel duplice rapporto, da un lato,
con le isole e il mare e, dall'altro, con la terraferma, divisa dal canale d'acqua fatto costruire dal Vicerè de Vega.
Gli scavi archeologici nel Castello di Terra confermano la sua costruzione ai primi anni dell'età Aragonese.
Il 20 febbraio 1673, nel piano del Castello di Terra, venne decapitato absque pompa, (cioè senza il clamore e la
consueta cornice di pubblico che di solito circondava questo tipo di esecuzioni) il "dottore di leggi" don Gerolamo
Fardella, (appartenente al ramo povero della omonima famiglia) capo della rivolta degli artigiani trapanesi contro la
nobiltà e il Senato per l'aumento del prezzo del frumento.
Il Castello di Terra, pur non essendo un vero e proprio carcere, ma l'altro maggiore bastione difensivo della città,
munito dai Borbone di decine di potenti bocche di fuoco, fu solo in certi momenti utilizzato per ospitare i detenuti più
pericolosi.
Nella primavera del 1820, si procedette al censimento dei luoghi di pena funzionanti nell'isola, ovvero quelle strutture
destinate all'esecuzione delle sanzioni detentive più gravi, quali i ferri, l'ergastolo o la relegazione1.
Quando fu redatto tale prospetto di tutte le strutture carcerarie funzionanti in Sicilia, incluse le isole minori dove erano
dislocati buona parte dei bagni, dei forti e dei presidi, risultarono complessivamente esistenti 24 stabilimenti, affollati
da un totale di 2516 servi di pena e, mentre la Colombaia era praticamente fuori uso (all'epoca sembra che fosse
detenuto un solo servo di pena), il Castello di Terra era invece ricolmo, ben oltre la teorica capienza, che secondo il
prospetto era di 70 detenuti.
La struttura, comunque, doveva apparire assai malandata se accanto alla capienza dei detenuti, sul documento
veniva annotato "totalmente da ristrutturare".
Nel 1829, vi si trovavano rinchiusi ancora 51 carcerati provenienti da tutte le province dell'isola.
All'interno del Castello, le condizioni di vita dei reclusi non erano dissimili da quelle già descritte per le altre carceri
trapanesi e, in buona sostanza, simili a tutti gli altri istituti penitenziari esistenti nel Regno delle due Sicilie.
Il vitto era scarso e di pessima qualità; gli spazi erano angusti; gli insetti schifosi numerosi. Ciò malgrado, comunque,
la struttura rimase in funzione come Bagno Penale, sino al 1860.
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