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risultati concreti in tale direzione è sempre attuale in quanto l’attività di estrazione delle materie                                                          CAPITOLO 2
minerali di cava è legata al soddisfacimento di un fabbisogno primario, costante e irrinunciabile.
Inoltre a fronte dei numerosi sforzi orientati in tale direzione i risultati raggiunti risultano limitati;
lo scenario nazionale fotografato da una recente ricerca di Legambiente (2008) mostra una
situazione dove permangono siti estrattivi dismessi non recuperati e abbandonati e delle
difficoltà oggettive nel governare la fase di recupero della cava dopo la dismissione.
L’esternalità generata dall’attività estrattiva maggiormente sentita è quella legata alle
trasformazioni del paesaggio, se gli impatti durante le fasi di attività sono avvertiti dalle
popolazioni locali quelli sul paesaggio sono percepibili dai residenti, dai frequentatori abituali o
occasionali, visibili anche all’osservatore meno attento.
Tuttavia un passaggio importante è rappresentato dalla “Convenzione europea del paesaggio”
che definendo il campo di applicazione (articolo 2) specifica che la stessa “(…). Concerne sia i
paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i
paesaggi degradati”. Franco Zagari3 (2006) interroga il sapere esperto sulla definizione di
paesaggio e Achille Maria Ippolito nel fornire la propria definizione parte da quella di Lucine
Kroll “Tutto è paesaggio”.
I paesaggi di cava sono accomunati dall’essere percepiti in senso negativo, sono un “paesaggio
rifiutato”4 (Trasi, 2001) dalla collettività che in esso non si riconosce; la percezione di tali
trasformazioni è fondata da un presupposto di negazione, le cave vengono percepite come dei
detrattori ambientali che contribuiscono in senso negativo alla qualità dello stesso.
La popolazione si sente privata di una risorsa mineraria, ambientale e paesaggistica, ceduta
all’interesse collettivo senza avere dei benefici, anche in relazione ad un numero significativo di
realtà regionali che non prevedono un canone per il materiale cavato o prevedono dei canoni
ritenuti non adeguati. Le amministrazioni locali che in generale propendono per accogliere
nuove attività produttive non accolgono di buon grado l’attività estrattiva nel proprio territorio,
sino ad osteggiarla, rivendicando maggiore autonomia anche nel rilascio delle autorizzazioni a
cavare; esiste una sorta di sfiducia nei confronti di tale attività.
Domenico Luciani5 (2006) nell’ambito della citata ricerca “Rekula” propone una teoria sulla
percezione dei paesaggi estrattivi, percezione che condiziona l’approccio verso tali paesaggi.
La teoria si riferisce al caso specifico della Regione Veneto, tuttavia è esemplificativa di quanto
accaduto a livello nazionale. Luciani distingue tre principali momenti di riferimento nella storia
dell’attività estrattiva. La prima fase è quella che si estende dall’inizio dell’attività cavatoria
dell’uomo fino alla fine del XIX secolo e per alcuni aspetti sino alla prima metà del XX secolo,
periodo storico dove la coltivazione dei materiali di cava è caratterizzata dalla bassa velocità di
estrazione in relazione alle modeste tecnologie utilizzate. In questo periodo l’attività di cava non

3 Zagari F. (2006), Questo è paesaggio, 48 definizioni, Gruppo Mancosu Editore, Roma, pagg. 208-209.
4 Trasi N. (2001), Paesaggi rifiutati Paesaggi riciclati. Prospettive e approcci contemporanei, Dedalo, Roma.
5 Luciani D. (2006), Cave, nuove regole, nuovi progetti, in Atti del convegno “Ricerche e proposte sulle cave del Veneto”, Treviso, 10
marzo 2006. Documento disponibile su internet all’indirizzo: http://www.fbsr.info/futuro/media/2011/cave-nuove-regole-nuovi-
progetti_917.pdf; [ultimo accesso agosto 2011].

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