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con la presa di alcuni importanti centri incastellati della Sicilia occidentale in
età sveva. Si tratta in particolare, dei centri di Segesta (rioccupata in questa
fase dopo secoli di abbandono) e Calathamet che probabilmente dopo essersi
rivoltati contro Federico II verranno distrutti, lasciando così spazio nel
territorio ad una economia latifondista ineguale fra contee e casali
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abbandonati . Gli effetti di queste lotte intestine si possono riscontare
anche presso le colline e monti di Trapani in cui il precendete paesaggio
rurale di età arabo-normanno rimarrà per secoli privo di centri abitati
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stabili . Con la fase normanno-sveva quindi, in Sicilia occidentale, si
assisterà sia alla scomparsa di alcuni grandi abitati d’altura muniti di castello
(quali Calathamet, Calatubo, Calataberberi) sia alla fine degli abitati minori
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sparsi per le campagne . I pochi casali che sopravviveranno, quali ad
esempio Alcamo, Partanna e Salemi godranno in seguito di una vivace
espansione. Il fenomeno dell’insediamento sparso costituito da campagne
fittamente abitate lascerà spazio ad un latifondo basato sulla produzione del
grano, mentre la popolazione si raggrupperà all’interno di abitati muniti di
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mura menzionati nella documentazione successiva come «terre» .
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J.M. Pesez, che ha diretto lo scavo di Calathamet attribuisce l’abbandono del sito alle guerre
antisaracene condotte da Federico II; vd., PESEZ 1995, pp.187-189.
137 Sull’argomento già si era espersso il Peri; vd., PERI 1990, pp.135-145; le recenti ricognizioni
archeologiche presso i Monti di Erice confermerebbero tale scenario; vd., ROTOLO et al. 2012, pp. 62-64;
ROTOLO-MARTÍN CIVANTOS 2012, pp. 413-418.
138 Sull’argomento vd., PERI 1990, pp.135-145; BRESC 1976, pp. 193-197; BRESC 1980, p.377.
139 A partire dal XIV secolo, abitati muniti di fortificazioni e castello sono menzionati come terre;
vd., Rationes Decimarum Italiae, Sicilia , (ed.SELLA 1944), p.119 nr.1557; 1563; p. 151 nr. 1560; Acta
Curie Felicis Urbis Panormi, IV, p.77; VI, pp. 9; 27; 189; 339; VIII, p.373; Codice diplomatico di
Federico III d’Aragona (1355-1377) in COSENTINO 1886, p. 111.
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