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all’interno che ben possono corrispondere alle camere esistenti nel corpo o isola della tonnara, sia a
levante che a ponente della bocca di entrata o foratico (Figg. 3, 4). Ci sono infine le porte tra una camera
e l’altra che, nella tonnara odierna, altro non sono che delle reti che trasversalmente chiudono o aprono
le camere (Fig. 5). Tali reti-porte, vengono fatte cadere o vengono sollevate dall’alto, mediante bretelle,
quindi chiudendo o aprendo le camere stesse, a somiglianza di un telone da teatro sollevato o calato
dall’alto. Va detto che le diverse camere servivano a suddividere il gregge di tonni entrato nel corpo
dell’isola della tonnara, al fine di poter gestire una massa di animali da uccidere che, di natura ombrosi,
possono diventare furiosi se spaventati e sfondare le reti, fuggendo. Questo significava perdere l’annata
di pesca e, specie negli anni più vicini a noi, quando il tonno cominciava a scarseggiare, significava il
disastro economico. Questo fenomeno della fuga dei tonni spaventati, a noi ricercatori è capitato di
osservarlo direttamente, allorquando un semplice squaletto, tipo verdesca (Prionace glauca) o pesce
volpe (Alopias vulpinus) s’insinuava nel branco di tonni in entrata. Succedeva allora che il terrore
improvvisamente s’impossessasse dei tonni ed essi diventassero come dei bufali inferociti, aprendosi un
varco nelle pareti di reti, ferendosi il muso e la testa e tra di loro, mentre prima sembravano degli agnelli
mansueti che la semplice ombra della parete di una rete bastava ad incanalare. Nel passo di Oppiano si
parla anche di strade. Ciò evoca il percorso cui costringe il pedale della tonnara, pedale che altro non è
che la rete di sbarramento che parte dalla costa ed arriva all’isola della tonnara, a lato del foratico. Infine,
c’è una notazione di carattere demografico che tratteggia tre classi di età nel branco di tonni entrato in
tonnara. Il meno che si può dire è che questo passo è di una modernità straordinaria pur riferendosi a
qualcosa di almeno 2.000 anni fa. Comunque, per la storia, la tonnara vera e propria compare in epoca
bizantina a partire dal VII sec. d.C. Gli Arabi e soprattutto i Normanni, svilupparono successivamente
la pesca con impianti fissi. Già nel XV sec. si contavano in Sicilia più di 40 tonnare. Ritornando ai Fenici,
già nell’anno 1000 a.C. combinavano reti di sbarramento e reti di accerchiamento per costruire le loro
primigenie tonnare. Tuttavia, storicamente, si può parlare di tonnara vera e propria quando l’ultima
camera di ponente dell’Isola della tonnara viene trasformata in camera della morte con l’introduzione
della culica o saccoleva che è la grande rete di fibra (sisal, cocco od altro) a maglia fitta che, in fase di riposo
è adagiata sul fondo della camera della morte, ma con i lembi tirati da bretelle arroccate sulle barche
(mociare ai lati e palascarmo in testa) che formano la cosiddetta “incastellatura”. Giunto il momento
della mattanza, al segnale del rais che grida “livàti, livàti”, cioè sollevate la culica, i tonnaroti, al ritmo di
un motivo cadenzato (“cialoma”),
che consente il coordinamento
degli sforzi, iniziano il lavoro
di sollevamento dal fondo della
camera della morte della pesante
rete, mentre i tonni, sempre più
ristretti di spazio e di volume
d’acqua, si scontrano tra loro,
vengono man mano arpionati e
portati a murata della rete e, feriti
e sanguinanti gettati nel vascello
grande di testa (palascarmo),
per essere trasportati subito a
terra, nei locali di lavorazione
del pescato, a mattanza terminata
Fig. 6 – Mattanza; si noti la formazione ad incastellatura delle barche per il (Fig. 6). Il canto o “cialoma” dei
sollevamento della pesante rete della camera della morte (“culica”). Questa rete tonnaroti, quando lentamente ed
rimane adagiata sul fondo quando non ci sono tonni prigionieri.
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