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questi due corpi di reti va aggiunto il cosiddetto codardo che si agganciava allo spigolo esterno della
            testa di levante. Il codardo è un braccio di rete che tiene sotto “controllo” un branco di tonni che esita ad
            incanalarsi verso il pedale o che può deviare dal percorso voluto (Fig. 7). Il codardo costituisce un
            elemento tecnico molto importante nelle tonnare interne ai golfi, il cui pedale è molto esteso ed in cui,
            i fattori di “distrazione” del branco dei tonni ingolfatisi, possono essere tanti. Ma, il codardo può essere
            ridotto o mancare del tutto nelle tonnare che calano in prossimità di una costa a falesia, dove la
            profondità dell’acqua è comunque notevole (ad es. Scopello o la tonnara del Secco, sempre nel Golfo di
            Castellammare). La tonnara tradizionale utilizzava fino agli anni ’50, materiali a perdere annualmente,
            alla fine della stagione di pesca. Cosi le reti che costituivano le pareti del pedale e dell’isola erano date
            da una fibra vegetale ricavata dalla cardatura di una palmetta nana (Ampelodesma tenax) che cresce
            spontanea sulle colline dell’area trapanese. La fibra che se ne ricavava ma anche la piantina vengono
            denominate in siciliano con il termine “disa”. Le donne dei pescatori dedicavano l’inverno a cardare le
            foglie ed intrecciare le fibre per farne il filato con cui costruire le grandi maglie delle reti parietali. Così
            le zavorre attaccate alle lime (in seguito sostituite da piombi recuperabili) erano, fino agli anni ’50 del
            novecento, costituite da grosse pietre squadrate grossolanamente a tetraedri (dette “rosasi”) di peso
            variabile da 25 a 50 kg legati da una cordicella (“capizzaglia”) con cui si legavano alle lime delle reti
            parietali. Le reti parietali, sia del pedale che dell’isola della tonnara, erano tenute tese verticalmente
            mediante l’azione di galleggianti legati alla lima sommitale (corda di superficie che fa da limite alla rete)
            ed ancore sul fondo da ambo le pareti delle reti che, mediante corde o cavetti tiranti, ad azione
            contrapposta, impediscono alle reti di afflosciarsi o sollevarsi. Infine le reti portano dei pesi o anche dei
            piombi alla lima che contorna il bordo delle reti inferiormente. A chiusura della campagna di pesca, reti
            di fibra di palmetta, lime e rosasi venivano tagliati a colpi d’ascia e rilasciati sul fondo. Poiché la posizione
            delle tonnare era più o meno la stessa, l’accumulo secolare di questo materiale costituì come delle
            barriere artificiali (ante litteram) quale indotto involontario delle tonnare stesse. Questo materiale già
            usato, ammassato sul fondo del mare, in luogo ben individuato, nei periodi in cui la tonnara non era
            calata, costituiva la meta preferenziale della piccola pesca, ai fini di posizionarvi i propri attrezzi fissi per
            la cattura soprattutto di specie ittiche nectobentoniche. Erano essenzialmente i grossi Sparidi (dentici,
            orate, saraghi, ecc.) o gli Scienidi (corvine, ombrine, ecc.) o gli Scorpenidi (scorfani neri e rossi) l’oggetto
            delle catture. Queste specie vengono genericamente indicate dai pescatori siciliani, con il nome dialettale
            di “scamali”, cioè pesci che presentano grandi squame. Quella che qui sommariamente è stata descritta
            è una tonnara di golfo, come ad es. la tonnara di Magazzinazzi nel Golfo di Castellammare, in prossimità
            di Alcamo Marina. Il pedale, all’attacco con l’isola, doveva raggiungere e superare l’isobata di 50 m. Ma,
            se l’isobata di 50 m corre lungo una costa a strapiombo e quindi è molto vicina alla costa stessa, il pedale
            è molto corto, come ad es. nel caso della tonnara di Scopello ed addirittura può non esserci, per cui la
            testa di ponente dell’isola è addirittura legata alla roccia della falesia, come ad es. avveniva nella tonnara
            del Secco. Tutte e tre queste tonnare erano attive negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e si trovavano nel
            Golfo di Castellammare (costa della Sicilia settentrionale, Fig. 8). In un tempo più antico, in questo
            bellissimo golfo operavano ben sette tonnare, da levante a ponente, come segue: tonnara della Sicciara
            (“siccia” in siciliano significa seppia: in quell’area venivano a riprodursi infatti le seppie), Magazzinazzi,
            Castellammare, Scopello, Guzzo, Secco, S. Vito Lo Capo. Oggi, fattori terrigeni d’inquinamento e
            disturbi vari anche da mare, hanno ridotto la sostenibilità biologica di questo Golfo. A partire dagli anni
            ’60, le tonnare siciliane subirono dei grossi cambiamenti. I materiali naturali a perdere furono sostituiti
            da fibre sintetiche, le pezze delle reti parietali erano tenute assieme da costolature in cavetto d’acciaio, le
            camere furono ridotte, sia a levante che a ponente dell’isola ed infine la bocca di tipo atlantico-
            mediterraneo (foratico) fu trasformata in un ingresso a nassa, per cui ai tonni si rendeva agevole
            l’entrata, ma non c’era pericolo che potessero uscire, come pure era successo qualche volta con il vecchio



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