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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali ...18 - GIUGNO 1996 - La protezione dell'ambiente costiero Silvano Riggio *
breve tempo intere coperture algali, sicché una loro proliferazione incontrollata finisce
per diserbare e corrodere la superficie delle coste rocciose fino a fame degli autentici
"litosuoli" sottomarini, denudati alla stregua dei deserti di terra ferma. Ben noto è al
proposito il degrado delle coste californiane seguito alla distruzione della popolazione
di lontre marine, cacciatrici dei ricci. In assenza dei loro predatori naturali, è bene
incentivarne la pesca ed il consumo su larga scala. La caccia attivissima che viene data
al Paracentrotus lividus e al meno comune Sphaerechinus granularis lungo i fondi
costieri della Sicilia garantisce efficacemente la sopravvivenza sia dei posidonieti che
delle cinture a cistoseire, e con essi la stabilità degli ecosistemi dell'infralitorale.
Soltanto i gruppi sistematici privi di stadio larvale pelagico, come sono, per esempio,
certi policheti, molluschi ed i crostacei peracaridi (isopodi, anfipodi, cumacei,
misidacei, tanaidacei), sono in grado di differenziare un gran numero di forme che
possono isolarsi fino a formare endemismi puntiformi.
Casi specifici di formazione e concentrazione di endemismi marini sono le aree
semichiuse, dominate da uno o più fattori ambientali, come sono porti e lagune
marine, a condizione che la salinità non scenda sotto certi valori critici. Nel caso che la
salinità, soprattutto in inverno, tocchi valori inferiori al 32-33%, buona parte delle
specie stenoaline talassobie (o più semplicemente marine sensu stricto) viene
eliminata, e il biotopo, almeno in via temporanea, assume le caratteristiche di una
laguna salmastra, abitata da una comunità tipicamente eurialina e paucispecifica.
Il caso su descritto è generalizzabile a tutte le lagune costiere dell'area mediterranea
settentrionale, e segnatamente a tutte o quasi le lagune peninsulari italiane, a quelle
della Sardegna, Francia meridionale, e del nord della penisola iberica. Affinché si
mantengano le caratteristiche marine occorre che il clima sia subarido, come nella
Sicilia occidentale, nelle aree meridionali della Spagna mediterranea e del Nordafrica.
Biotopi tipici sono lo Stagnone di Marsala, il Mar di Bou Grara (isola di Djerba), la
laguna dei Biban nell'entroterra libico, le sebke costiere medio-orientali, eccetera.
Sono ben conosciuti nella letteratura scientifica i casi di speciazione che hanno avuto
luogo nel porto di Livomo e nell'area della Solvay, dove l'inquinamento ha avuto effetti
di "barriera alla dispersione larvale", nello Stagnone di Marsala oltre che nelle lagune
nordafricane. Bisogna piuttosto valutare la ricchezza specifica delle comunità, e
soprattutto i valori della biodiversità che sono finora il parametro più affidabile. E'
chiaro che per tali compiti servono naturalisti ad alto livello di professionalità e non
bastano gli amatori dotati di conoscenze approssimate; ancor meno serve l'entusiasmo
dei volontari se non sostenuto da una cultura scientifica ben radicata.
Talassofilia e talassofobia
delle popolazione rivierasche
La collaborazione dei cittadini aumenta grandemente le probabilità di una buona
riuscita di un'area protetta o di un ripopolamento, così come una reazione di ostilità
può portare al fallimento di qualsiasi buona iniziativa. Il fattore umano è quindi
importante, ma a mio avviso non va considerato né esclusivo né superiore agli
interessi naturalistici, come è stato evidenziato negli schemi operativi proposti da
studiosi di area non strettamente biologica.
L'atteggiamento delle popolazioni nei riguardi del mare ha radici storiche e ragioni
geografiche precise. Un atteggiamento positivo, definibile di "talassofilia", coincide con
l'uso tradizionale del mare e delle risorse costiere, che in molte regioni sono state per
secoli l'unica fonte di sostentamento. Viceversa l'atteggiamento negativo, o di
"talassofobia", si riscontra in quelle condizioni che rendono difficile il rapporto col mare.
Osservazioni di La Greca e Sacchi (1957) mostrano la netta prevalenza delle
popolazioni contadine "talassòfobe" nelle isole vulcaniche, dove i pescatori sono
un'esigua minoranza, o sono del tutto assenti. Tanto più questa situazione si accentua
nelle isole circolari costituite da nudi coni vulcanici: vedi i casi di Alicudi e Filicudi.
Considerazioni non molto diverse possono farsi per le isole granitiche, e l'arcipelago
sardo corso è l'esempio di una terra pastorale profondamente talassòfoba: le
emergenze calcaree (per esempio: Alghero) ed alcune prominenze ai margini (capi ed
isole) ospitano in Sardegna le uniche etnie marinare, tutte allòctone. Le isole calcaree
ospitano invece popolazioni prevalenti di pescatori, e la pesca è sempre stata la fonte
quasi esclusiva di sostentamento. Queste ultime isole, oltre all'interesse biologico
comparativamente maggiore, sono quelle nelle quali le popolazioni locali mostrano
all'inizio maggior ostilità, ma sono più disponibili alla collaborazione una volta che
hanno compreso i vantaggi della tutela.
Analisi condotte in Sicilia e basate su indicatori attendibili quali la distribuzione delle
antiche comunità marinare, l'incidenza economica della piccola pesca, e la densità
delle tonnare e di siti archeologici di pesca, mostra che entrambe i comportamenti, di
talassofilia, e di talassofobia, hanno una distribuzione complementare e soprattutto
che le popolazioni marinare si localizzano lungo le tre estremità dell'isola. Lo stesso
procedimento analitico applicato anche alla Tunisia dà risultati analoghi: anche qui le
prominenze geogratiche estreme sono le aree più talassofile mentre le parti intermedie
sono talassòfobe.
La distribuzione attuale di porti e marinerie è confermata dal reperimento di antichi
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